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GLI ITALIANI NON VOGLIONO INVESTIRE NEANCHE NELL’ADSL

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(WSI) –
«Meno ai padri, più ai figli»: è una
formula di Nicola Rossi che riassume
la sostanza delle idee che questo economista
brillante e rigoroso porta
avanti da molti anni. L’idea, ben nota,
è che nel nostro welfare, i mezzi
abbiano preso il sopravvento sui fini,
e che gli squilibri categoriali e generazionali
siano diventati tali non solo
da pregiudicare la crescita (che è la
preoccupazione degli economisti liberali),
ma anche da contravvenire ai
più elementari criteri di equità (che
stanno a cuore a chi, come Rossi, ha
alle spalle una lunga militanza tra le
fila della sinistra).

Se così stanno le cose, allora, è facile
capire quanto siano superficiali le
polemiche che hanno seguito la decisione
di Rossi di lasciare i Ds, tutte
concentrate sulle beghe interne al
partito, sulla parabola del dalemismo,
sul ruolo di Fassino, e chi più ne ha
più ne metta.

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La verità, purtroppo, è
assai più drammatica. E coincide con
il fatto che per Rossi, e per quelli che
la pensano come lui, sembra non esserci
più posto da nessuna parte. Non
solo tra i Ds, ma proprio nell’intero
arco delle forze politiche rappresentate
in Parlamento. Può darsi, come
dicono alcuni, che sia colpa della genesi
infelice e tormentata del bipolarismo
all’italiana. Può darsi che un assetto
istituzionale che premia la competizione
al ribasso e il ricatto politico
sia in parte responsabile di questo
stato di cose. Però, a guardar bene, sono
tutte spiegazioni un po’ riduttive,
quelle che puntano il dito sempre e
solo sul ceto politico, sulla sua mediocrità
e sulle sue deficienze.

La verità è che, come ha scritto su
Zero Paola Bonomo, lungi dall’essere
una società low cost, la nostra è diventata
una società low commitment,
a bassa intensità di impegno e di investimento
sul futuro. A dimostrarlo
non sono solo i soliti dati demografici
sulla crescita zero o quelli, affliggenti,
sulle spese, pubbliche e private, in Ricerca
e Sviluppo. Ma anche le tendenze
più spicciole del mercato dei consumi.

Nel corso degli anni novanta,
l’Italia è diventata l’unico paese industrializzato
nel quale le tessere prepagate
rappresentano la stragrande
maggioranza delle utenze di telefonia
cellulare, mentre gli abbonamenti sono
rimasti confinati quasi esclusivamente
al mercato aziendale. In modo
analogo, oggi, la diffusione dell’Adsl
presso i privati avviene quasi sempre
con la modalità “free”, ovvero con tariffazione
senza canone, a consumo.

Nella fase di più rapida diffusione
dell’Adsl, i contratti “free” sono arrivati
a costituire i tre quarti delle utenze.
Dagli altri Paesi europei, dove è
del tutto normale avere un abbonamento
flat (a canoni minori dei nostri
e con velocità di connessione maggiori)
e dove la banda larga a consumo è
sconosciuta, ci guardano attoniti.

Altro che low cost. In pratica abbiamo
così poca
fiducia nel futuro
che, perfino negli ambiti
più banali, siamo disposti a pagare
di più pur di non impegnarci, di mantenere
le mani libere. È possibile che
un paese così decida di investire sul
futuro, decidendo di togliere qualcosa
ai padri per darla in cambio ai figli?
È dura, non c’è che dire. Ecco
perché Rossi e quelli come lui fanno
tanta fatica a trovare spazio.

L’unica speranza, a questo punto,
è che i riformisti capiscano che la via
d’uscita non è tecnocratica, ma politica.
Urge che qualcuno si prenda la
briga di ripensare da cima a fondo
non solo e non tanto le scelte politiche
necessarie (a questo ci stanno già
pensando gli Onofri, gli Ichino, i Giavazzi
e gli Alesina), quanto il modo
di presentarle al Paese e di impacchettarle
in una proposta politica che
sia attraente almeno quanto l’ultima
offerta della Vodafone.

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