GLI ANALISTI?
NON CI AZZECCANO

di Redazione Wall Street Italia
26 Aprile 2005 14:30

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(WSI) – Vendere? Tenere? In realtà bisognava comprare. Leggendo le raccomandazioni degli analisti di Piazza Affari negli ultimi due anni, viene il sospetto che le cose continuino a non funzionare bene. Dopo scandali e pentimenti, i voti truccati sono senz’altro diminuiti, ma il margine di errore delle previsioni continua a essere elevato. Nel marzo del 2003, all’inizio del trend che ha riportato il Toro in Borsa, il consensus, una media dei giudizi, bocciava Capitalia. Con una media non brillante: solo un 2,1 nella scala da 1 a 5 usata per misurare il «sentire» delle case di investimento. Ebbene il titolo, da allora, è cresciuto del 347%: il migliore del biennio.

Stessa sorte per Pirelli. Gli analisti pensavano che non avrebbe battuto l’indice (voto: 2) e invece è cresciuta del 111% rispetto al più 68% guadagnato dall’S&P/Mib.

E prendendo i primi 10 titoli per performance dal marzo 2003 solo in due casi il consensus ha azzeccato il vaticinio: Rcs, editrice di questo quotidiano, e Lottomatica . Consigliate con forza (voto 4), alla fine sono cresciute rispettivamente del 235% e 143%.

L’indagine è stata condotta da Corriere Economia guardando il consensus sui titoli dell’S&P/Mib nel marzo 2003 (vedi tabella ) e confrontandolo con la performance a partire da quella data sino a oggi. I voti da 1 a 5 sono stati tradotti in tre giudizi secchi: «vendere» per chi ha meritato fino a 2,5, «tenere» per chi è stato giudicato nell’intervallo 2,5-3,5 e «comprare» da 3,5 a 5.

Una semplificazione che forse non rende giustizia alle sfumature. Ma la verifica, senza pretese statistiche, mette in evidenza almeno una verità: pochissimi avevano visto i minimi e scommesso sulla ripresa, preferendo dispensare salomonici giudizi di neutralità.

Su 37 titoli valutabili, ben 15 avevano un giudizio «tenere». Non male, si dirà, visto che nei due anni successivi tutti (eccetto Fiat e StM) hanno portato a casa guadagni a due cifre. Ma va anche detto che spesso «tenere» vuol dire «non mi pronuncio». I giudizi molto positivi, invece, erano 14 mentre quelli negativi 8. Non tutti i titoli promossi con lode hanno avuto eccessi di fortuna: Snam Rete Gas, Tim e Unicredito pur portando a casa risultati tra il 40 e il 60% non sono riusciti a fare meglio dell’indice delle blue chip. Mentre ben la metà (4 su 8) dei «vendere» si è rivelato un consiglio errato, visto che i titoli in questione hanno superato l’indice.

Oltre alle già citate Pirelli e Capitalia svettano Edison (bocciata con 1,6 e salita del 111%) e Banca Antonveneta (bollata con un 2 e salita del 93%).

Gli analisti italiani, comunque, sono in buona compagnia internazionale. In base a un’analisi condotta dalla Zacks Investment Research per conto del Wall Street Journal dopo lo scoppio della bolla, i giudizi «vendere» – prima aborriti dagli analisti in overdose da conflitto di interesse e quindi incapaci di dire il vero sulle società – sono ricomparsi. Il problema è che i titoli coraggiosamente bacchettati a Wall Street (oggi solo il 38% delle società non ha nemmeno un sell, contro l’improponibile 95% degli anni Novanta) vanno meglio di quelli promossi. In media le azioni ultime della classe (più sell , vendere, che buy , comprare) tra il 2003 e il 2004 hanno guadagnato il 35% contro il 25% delle azioni con tanti buy. E lo stesso è accaduto tra il 2002 e il 2003.

Insomma un disastro. Ma Alessandro Capeccia, gestore azionario di Azimut, assolve, almeno in parte, i consiglieri con la sfera appannata: «Non vanno giudicate le raccomandazioni, sempre fallibili, ma la qualità delle stime. Se gli utili previsti sono vicini a quelli reali allora l’informazione è stata utile».

A chi la raccoglie, quindi, l’onere di utilizzarla bene. Un esercizio sofisticato che non è alla portata di chiunque. E Patrizio Pazzaglia, direttore investimenti di Banque Insinger de Beaufort , ricorda che «la ricerca fondamentale è uno degli strumenti a disposizione del gestore che prima di decidere deve avere un quadro d’insieme completo».
Ma ci sono anche i bastian contrari. Quelli che fanno l’esatto opposto rispetto ai giudizi degli uffici studi. Una vera e propria tecnica fondata sulla convinzione che gli analisti tendano a declassare un titolo solo quando si verifica un evento negativo, cioè quando la frittata è già fatta. E le aspettative del mercato sono ormai oltre l’ostacolo.

Fin qui la storia. E adesso che cosa dicono gli analisti? Sempre prendendo in considerazione i titoli dell’S&P/Mib 40 gli ottimisti sono cresciuti. I giudizi d’acquisto sono sempre 12, mentre quelli negativi sono scesi a 2. Ed è la pattuglia dei Salomoni a farla più che mai da padrone, con 23 titoli su 37 in campo neutrale.
Insomma siamo alle solite. Due anni fa, dopo un lunghissimo periodo di lacrime e sangue, non si trovavano in giro abbastanza ottimisti. Oggi nonostante il mercato corra da oltre due anni, sono davvero pochi quelli disposti a scommettere su un’inversione di tendenza. Chi si sbilancia è bravo.

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