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«GIU’ I TASSI, LA CRISI E’ A MACCHIA D’OLIO»

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(WSI) – Qualcosa di molto allarmante si è rotto nel circolo, prima virtuoso e ora vizioso, che dal settore immobiliare Usa porta all’alta finanza di Wall Street. Si parla di titoli debitori che si affacciano sull’orlo dell’abisso nell’ordine di mille miliardi di dollari. E, come se non bastasse, incombe un terribile «effetto contagio», in cui strutture creditizie molto macchinose, e dalle sigle astruse, premono le une sulle altre, con l’eventualità di franare di botto in un gigantesco gioco di domino. La prognosi non necessariamente volge al bello: «Anzi – dice Emanuele Ravano, condirettore delle strategie europee di Pimco – potrebbe addirittura peggiorare. C’è il rischio che qualche grosso player bancario finisca per aria. E per evitare guai grossi, la Fed dovrebbe attivarsi con maggiore decisione rispetto a quanto fatto finora». Pimco, per chi non lo sapesse, è la società di money management, resa famosa da Bill Gross, che amministra il più grande fondo obbligazionario al mondo, il Total Return Fund.

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Dottor Ravano, il tema è piuttosto nebuloso, con articolazioni non sempre facili da digerire per il grande pubblico. Siamo in grado di illustrare passo passo le criticità che montano nella finanza globale?
Alle radici del problema, c’è il calo dei valori residenziali negli Stati Uniti. La Pimco ha un team di esperti che segue il settore da vicino, e secondo la nostra analisi, il prezzo delle case potrebbe scendere di un altro 10%, con picchi del 20% nelle aree che hanno vissuto i maggiori eccessi speculativi. Dunque, non immaginiamo miglioramenti a breve.

Fin qui tutto chiaro, ma perché siamo sul baratro?
Il secondo punto è che le banche, in funzione di questa tendenza generale, sono ora restie a prestare denaro. A luglio il fenomeno si era concentrato nel segmento subprime del mercato, ma poi si è allargato a macchia d’olio. Per esempio, nella fascia dei mutui «prime», il 41% netto delle banche ha cominciato a stringere fortemente le condizioni del credito in ottobre, contro appena il 12% di luglio. E se guardiamo alle carte di credito, siamo passati dal 12% di luglio al 27% di ottobre.

Si dice che le famiglie indebitate siano un po’ in difficoltà. Lei che ne pensa?
In effetti, questa è un’altra spina che ci tormenta. Coloro che hanno comprato casa negli ultimi 3 anni, lo hanno fatto prevalentemente con finanziamenti a tasso variabile, le cui rate subiranno una rettifica all’insù nei mesi venturi. L’andamento si annuncia particolarmente intenso fino al maggio del 2009, con mutui da rinegoziare ogni mese nell’ordine dei 30-50 miliardi di dollari. Ma sul mercato dei mutui pende, poi, un’ulteriore ipoteca.

Cioè?
Mi riferisco al meccanismo degli asset-back: nel recente passato, i mutui erogati venivano sovente impachettati e cartolarizzati, trasferendo così il rischio agli investitori più disparati. Questo percorso di finanziamento è entrato in stallo. Anche perché i cosiddetti monoliner forse non potranno fornire garanzie sulle nuove emissioni.

Si fermi un momento. Può spiegarci bene cosa sono i monoliner e il loro ruolo nella crisi attuale?
Si tratta di grosse società, come la Ambac o la Mbia, che garantiscono protezioni al credito: garantiscono per esempio un rating tripla A, garantiscono il pagamento delle cedole obbligazionarie e del capitale a scadenza. Possono offrire tali garanzie, però, solo se esse stesse hanno un rating di tripla A.

Teme che la loro solidità sia sotto minaccia?
Esatto; ragioniamo di un’eventualità che diminuirebbe l’efficienza nel mercato delle obbligazioni strutturate. Tenga conto che le due maggiori compagnie del ramo, hanno in pancia forse 350 miliardi di asset-backs, quindi sono vulnerabili in prima persona.

Cos’altro?
Bisogna soffermarsi sul comportamento delle agenzie di rating. Per essere chiari: il 5 di novembre la Fitch ha dichiarato che rivedrà interamente i criteri a cui legare il merito di credito delle strutture Cdo (collateralized debt obligations, cioè un tipo di asset-backed security ndr.). Le nuove classificazioni verrano fuori a 4-6 settimane, ossia durante le festività natalizie. Insomma, le agenzie di rating, accusate di essere state troppo indulgenti, ora mostrano maggiore severità. Fioccano i downgrades.

La sua è una lista interminabile…
Ma siamo arrivati alla fine. L’ultimo tassello è il cambio di rotta intrapreso dagli enti regolatori. Occorre sottolineare che, per quanto riguarda le banche d’affari, larghe sezioni dei bilanci sono riconducibili ad attivi denominati «livello 3», non prezzati a valore di mercato, bensì sulla base di modelli matematici. I nuovi standard di contabilità che entreranno in vigore dal prossimo 15 novembre intendono limitare l’uso dei modelli interni nel prezzare gli asset meno liquidi, e si ritiene che norme più stringenti provocheranno diverse revisioni al ribasso.

Si delinea un orizzonte plumbeo…
Diciamo che ci sono notevoli fattori di tensione. Se le obbligazioni strutturate andassero in liquidazione più rapidamente del previsto – uno sbocco che è nelle aspettative della Pimco – ci sarebbero ripercussioni a catena.

Molte grosse banche americane si sono sbriciolate a Wall Street, con tonfi quotidiani non di rado superiori al 10%. Esiste il pericolo che qualcuno finisca gambe all’aria?
Se la liquidazione diventa eccessiva, quella che lei descrive entra nel novero delle possibilità. E questo ci porta alla medicina da somministrare al paziente.

Quale medicina?
Secondo noi la Fed dovrebbe tagliare il costo del denaro con determinazione, spingendo il saggio base ora al 4,5% fino al 3,5%-3%.

E sulla sponda europea?
Molte notizie convergono nell’affermare che in Gran Bretagna il livello del debito e la portata della bolla immobiliare rivaleggiano con quelle statunitensi. A nostro parere fra il 2008 e il 2009 l’economia inglese risulterà davvero vulnerabile. E forse il caso della Northern Rock è destinato a non rimanere isolato.

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