Ben Bernanke alla fine decide misure drastiche: per la prima volta da giugno 2003, i Fed Funds subiscono un taglio, addirittura un super-taglio da mezzo punto, e scendono al 4,75%, mentre il tasso di sconto, per la seconda volta dopo il 17 agosto, è rivisto al ribasso ancora di altri 50 punti base, al 5,25%. Wall Street reagisce alla doppia manovra di allentamento del Federal Open Market Committee, il Board della Banca centrale Usa, spingendo gli indici su guadagni superiori al 2%, con il dollaro che sprofonda contro l’euro al record storico, a quota 1,3980. L’oro vola ai massimi degli ultimi 28 anni, a 733,40 dollari l’oncia, e il petrolio sfiora gli 82 dollari al barile, con un massimo di 81,90 per poi chiudere a 81,50 dollari.
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Per Bernanke, numero uno della Fed, e gli altri banchieri centrali non c’era altro tempo da perdere e mette in campo la manovra più consistente dall’11 settembre. La scelta d’allentare la stretta monetaria è stata presa all’unanimità per frenare la minaccia recessione e contenere l’impatto delle turbolenze dei mercati finanziari sull’economia reale, partite dalla crisi del settore delle case e dei mutui subprime. La spiegazione è presto illustrata: la crescita dell’economia è stata moderata nella prima metà del 2007, ma la “strettà, vale a dire il peggioramento delle condizioni del credito ha il potenziale “d’intensificare la correzione del mercato immobiliare e di frenare la crescita economica più in generale”.
Leggendo il dato dell’inflazione core, la componente al netto di energia e alimentari, la Fed rileva che negli Stati Uniti è “migliorata modestamente” quest’anno. Ad ogni modo, il Fomc, ritiene che ci siano ancora “rischi” sul fronte dei prezzi e, pertanto, continuerà “a controllare gli sviluppi” della dinamica dei prezzi, “attentamente”. Il Board nota che è aumentata “l’incertezza” sull’outlook rispetto alla riunione di agosto e, per questa ragione, le prossime decisioni – riprendendo la traccia già usata da tempo – saranno prese sugli sviluppi della situazione e sull’esame dei nuovi dati macroeconomici in funzione “della stabilità dei prezzi e della crescita economica a un livello sostenibile”.
Si tratta di “una mossa aggressiva che mostra la determinazione della Fed di ripristinare il prima possibile normali condizioni sul mercato del credito”, commenta Diane Swonk, capo economista di Mesirow Financial. “E’ anche una azione preventiva per evitare che la crisi finanziaria delle ultime settimane abbia ripercussioni sull’economia reale, sul tasso di crescita degli Stati Uniti e su un settore immobiliare già in sofferenza”. Alla prima vera prova, Bernanke mette da parte i timori d’inflazione e si concentra sulla necessità di ridare fiato all’economia arrendendosi al dato dell’occupazione, che ad agosto ha mandato in fumo posti di lavoro per la prima volta da quattro anni a questa parte.
Molti analisti ritengono che si tratti solo di un passaggio momentaneo. Sul lungo termine, infatti, la Fed sarà costretta ad alzare i tassi per raffreddare i prezzi, fino a un livello a doppia cifra, come prevede l’ex numero uno della Banca centrale Usa, Alan Greenspan, impegnato in questi giorni a promuovere il suo libro ‘The Age of Turbolence: Adventures in a New World’ (L’età della turbolenza: avventure in un nuovo mondò). “E’ un problema di lungo periodo – rileva Mark Vitner, capo economista di Wachovia – e nel breve, ritengo che anche Greenspan avrebbe deciso di tagliare i tassi d’interesse in questo stesso momento particolare”. I mercati per ora ringraziano.
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