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GERONZI N.1 DELLE GENERALI: BUON PER LUI, NON PER NOI

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Con questo articolo comincia la collaborazione a Wall Street Italia Balthazar, pseudonimo che protegge un personaggio molto conosciuto dell’ambiente finanziario italiano. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – L’ascesa di Cesare Geronzi al vertice delle Assicurazioni Generali segna l’apogeo dell’”economia relazionale” e una nuova sconfitta per il mercato in Italia. Sbandierata come un segno di discontinuità con il passato dalla stampa “amica” – il cui perimetro adesso, statene certi, si allargherà – la sostituzione dell’ottantacinquenne Bernheim con il settancinquenne Geronzi sul ponte di comando della terza compagnia europea, l’unica italiana con una vera proiezione globale, è stata accolta con indifferenza dalla Borsa.

Il giorno dopo l’assemblea il titolo ha fatto segnare un più 1,23%, ma solo perché la società aveva annunciato un aumento dei premi del 20% nel primo trimestre. Il giorno seguente ancora Generali ha fatto marcia indietro e come altre assicurazioni europee ha subito in pieno il contraccolpo dell’aggravarsi della crisi greca.

Altro che discontinuità. Gli investitori non si illudano. Il Leone di Trieste sonnecchierà come ha fatto in tutti questi anni e come due anni fa aveva denunciato Davide Serra, il finanziere italo inglese che dopo avere acquistato una piccola quota della società aveva attaccato l’immobilismo del management ricevendo per tutta risposta insulti, improperi e un muro insormontabile di ostilità. L’enorme riserva di valore contenuta nella compagnia resterà insomma inespressa e il titolo continuerà a capitalizzare ben al disotto del suo potenziale, tenendosi a debita distanza dai livelli dei suoi principali concorrenti, Allianz e Axa in primis.

Del resto sono logiche extra mercato quelle che hanno portato Cesare Geronzi alla presidenza delle Generali. In realtà la vicenda Geronzi-Generali è paradigmatica della chiusura dentro ambiti sempre più domestici e angusti della finanza e dell’economia italiane. Guardiamo ai fatti.

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Innanzitutto Geronzi e Generali non potrebbero appartenere a mondi più distanti anche culturalmente. Non tanto perché Geronzi è nato a Marino ai Castelli e le Generali di Trieste sono state per secoli l’assicurazione dell’Impero austro-ungarico. Anche Cuccia in fondo era siciliano, eppure ha guidato la milanesissima Mediobanca. Il punto è che la indubbia forza di Geronzi non scaturisce da un track record di successi imprenditoriali, ma dai giornali che come banchiere (alla guida di Banca di Roma prima e Capitalia poi) ha finanziato, dalle aziende che ha salvato o contribuito a salvare (comprese quelle del premier Berlusconi), dalle banche che ha inglobato (su consiglio quasi sempre dell’ex governatore Fazio) e dai frutti del sistema di relazioni che con tutto ciò ha generato.

Alla scrivania in austero legno di mogano che occupa l’angolo sinistro della stanza del Presidente nel palazzo Generali di Trieste siede insomma oggi il signore dell’economia relazionale made in Italy. Non che la creazione di valore, l’autonomia del management, i diritti dei piccoli azionisti o la concorrenza siano mai stati elementi centrali nell’economia e nella finanza del Belpaese, ma i tratti caratterizzanti la figura del nuovo presidente parlano da soli.

In secondo luogo il barocco sistema di governance scelto per la compagnia nella più assoluta mancanza di una qualunque trasparenza sembra più il frutto di un adattamento alla finanza del manuale Cencelli per le nomine dei ministri nei governi dc. Ben poco ha a che fare con i criteri di scelta dei chairman delle grandi compagnie europee.

Abbiamo infatti un presidente senza deleghe a parte le “relazioni esterne” e tre vicepresidenti: Nagel espressione di Mediobanca che è un primo azionista oggi molto indebolito, Bollorè in quota agli azionisti francesi della stessa Mediobanca e Caltagirone in rappresentanza “pesante” degli azionisti privati che sperano di rivedere almeno una parte della montagna di soldi persi con i loro investimenti nella compagnia. Su questo castello di pesi e contrappesi non è mancata poi la benedizione dei pezzi da Novanta del governo in carica: il premier Berlusconi e il ministro Tremonti.

Eh già perché il vero motivo della scelta di Geronzi in Mediobanca è alla fine uno solo: assicurare in mani amiche il controllo di una cassaforte ragguardevole della finanza nazionale. Generali infatti con quasi trecento miliardi di euro di riserve può in teoria fare tutto: non solo puntellare Telecom che già sta facendo ma un domani mettere a disposizione i soldi degli assicurati per il finanziamento delle infrastrutture, la costruzione delle nuove centrali nucleari, l’acquisizione di partecipazioni a difesa della italianità delle aziende leader. E’ questa – e del resto lui stesso non ne ha fatto mistero nelle sue prime dichiarazioni (“la compagnia deve mantenere un forte radicamento in Italia e se i suoi investimenti coincidono con l’interesse pubblico questo sarà un bene”) – la vera mission di Cesare Geronzi a Trieste.

Investitori attenti: se finora con Generali avete sonnecchiato, domani potreste avere gli incubi.