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Generali, i giochi sono fatti. Ma l’Innominabile è infuriato

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Viene il giorno del 18esimo presidente di Generali. Che quasi sicuramente sarà Gabriele Galateri, presidente uscente di Telecom Italia, l’uomo della pacificazione che nel tardo pomeriggio dovrebbe essere prima cooptato, poi nominato dal consiglio dell’assicuratore in agenda a Roma. Dopo Pasqua, la scelta passerà in un comitato nomine di Mediobanca (che potrebbe anche sostituire la consigliera dimissionaria Ana Botin), infine tutto sarà ratificato dall’assemblea di Trieste il 30 aprile.

Il day after dell’estromissione di Cesare Geronzi, è trascorsa tra consulti telefonici e qualche visita in Mediobanca, tornata il centro dei giochi. In Piazzetta Cuccia s’è recato nel pomeriggio Galateri, una visita di circa un’ora in cui avrebbe parlato con i vertici dell’istituto del rinnovo del cda di Telco – dove pure concorre alla presidenza – e anche del caso Generali. Nelle stesse ore era in Mediobanca Domenico Siniscalco, presidente di Assogestioni e di Morgan Stanley Italia.

“Non dico niente, questa è una visita di business – ha detto il banchiere – . Lavoro con orgoglio nella mia società”. Ma anche Siniscalco è stato al vaglio come candidato outsider, per il curriculum oltre che i buoni rapporti con il ministro Giulio Tremonti. Altre valutazioni i soci Generali le hanno fatte su Piero Gnudi, sempre ben visto dal Tesoro, come sull’economista Mario Monti, che aveva il placet della Banca d’Italia (tra i primi azionisti a Trieste). Sempre ieri è stato visto entrare nel portone ferrato di palazzo Visconti-Ajmi il country manager di Generali, Paolo Vagnone.

Nella giornata odierna i grandi azionisti di Generali, previe consultazioni telefoniche, scioglieranno gli ultimi dubbi, che sembrano piuttosto lievi, e opteranno per una presidenza che forse non è scoppiettante e sensazionale, ma offre garanzie di stabilità e continuità. Quel che azionisti e consiglieri cercano ora, dopo la stagione breve e turbolenta di Geronzi, è un presidente istituzionale, che sappia gestire il cda senza scontri (e senza deleghe come prevede lo statuto triestino), un chairman che si adatti alle indicazioni gestionali del management, senza rivaleggiare né osteggiarlo. Ultimo dettaglio, si cerca un presidente che non sia troppo “caro”.

Galateri in Telecom guadagnava 1,6 milioni l’anno. Geronzi dopo neanche 12 mesi se ne andrà con 16,5 milioni, dieci volte tanto, frutto di due annualità (3,25 milioni l’una), due indennità di uscita (3,05 milioni l’una), la forfettizzazione di benefit per due anni più un altro paio di milioni di buonuscita. Per ironia della sorte il manager sabaudo cresciuto nella galassia Fiat sostituirebbe il banchiere di Marino che lo scalzò nel 2007 da Mediobanca.

Io non vorrei essere nei panni di chi ha vinto mercoledì scorso. La vittoria si vede alla fine e i vincitori ancora non ci sono”. Anche Silvio Berlusconi è consapevole che si tratta di una svolta epocale.

Anche Silvio Berlusconi è consapevole che si tratta di una svolta epocale. L’uscita di Cesare Geronzi dalla scena delle Generali stravolge gli assetti della finanza italiana. Ma intacca anche il sistema di potere che negli ultimi anni il Cavaliere ha costruito tessera dopo tessera insieme al banchiere di Marino.

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di Claudio Tito, La Repubblica

Una “svolta” che il premier non può accettare. Almeno per come si sta presentando in queste ore. Tant’è che la galassia Mediaset si è già messa in movimento. E il Cavaliere sta studiando le contromosse. Perché è convinto che questa partita non ha solo in palio il controllo sulle assicurazioni triestine. Ma c’è qualcosa di più. È in gioco un blocco di potere che può determinare anche gli equilibri politico-istituzionali dei prossimi due lustri. Basti pensare che tra le prime riflessioni fatte a Palazzo Chigi non mancano le ripercussioni sulla “corsa” per il 2013: quella che potrebbe vedere la scelta per il nuovo governo e per il nuovo presidente della Repubblica. Temono insomma che possa essere una sponda per piazzare in pole position il Terzo Polo. Per assegnare una “wild card” a Luca Cordero di Montezemolo.

Non è un caso che ieri, di primissimo mattino, sia scattata la prima dislocazione delle truppe. Il premier e lo stesso Geronzi (che ha visto pure il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia) si sono parlati a lungo. I due, negli ultimi giorni, avevano evitato di scambiarsi telefonicamente le loro impressioni. Ieri – dopo aver concordato l’appuntamento attraverso un “ambasciatore” – hanno cercato di capire cosa davvero può cambiare ai piani alti dell’establishment industriale e finanziario italiano, chi ha determinato il nuovo schema e come reagire.

Di sicuro il capo del governo non ha gradito la “svolta”. E suoi fulmini sono stati scagliati in diverse direzioni: verso il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e verso i vertici di Mediobanca. A cominciare dall’ad Alberto Nagel. Il Cavaliere si è infatti infuriato per essere stato tenuto all’oscuro e di essere stato informato solo quando i giochi erano fatti.

Eppure, è la sua protesta, nel consiglio di amministrazione di Piazzetta Cuccia siedono la figlia Marina, e gli amici fidatissimi Ennio Doris e Tarak Ben Ammar. Anche loro esclusi dalle consultazioni che hanno portato al siluramento di Geronzi. “Marina – si è sfogato Berlusconi – non sapeva niente fino al giorno prima”. Senza contare che la presenza azionaria della “galassia” berlusconiana nell’Istituto non è secondaria: Mediolanum supera il 3% e Fininvest l’1%.

Insomma, l’inquilino di Palazzo Chigi scorge nell’operazione la mano di chi vuole ridurre il suo peso. In politica e nella finanza. È sicuro che nel braccio di ferro tra Tremonti e Letta, in qualche modo sia stato colpito l’asse di amicizie e potere che ruota intorno al sottosegretario per “colpire me”. Del resto, osservano in effetti ambienti vicini al Tesoro, “Gianni si considerava un pezzo del “geronzismo””.

Proprio per questo, il Cavaliere non vuole rimanere fermo. È consapevole del fatto che “l’amico Cesare” in questo momento può essere anche “sacrificato”. È pronto a iniettare dosi massicce di realpolitik e a sorvolare sulle posizioni individuali. Ma senza lasciare campo libero a “quegli altri”. E nella lista di “quegli altri”, allora, figura in primo luogo Mediobanca. E già, perché se i vertici dell’Istituto hanno fatto pesare il loro 13,46% dentro Generali per “licenziare” Geronzi “senza avvertire”, allora – è la tattica abbozzata ieri mattina – i conti devono essere fatti in primo luogo in quella sede. E in particolare con Nagel. Secondo gli uomini del Cavaliere, insomma, la partita ora va trasferita dentro Piazzetta Cuccia. Un disegno concordato con l’ex numero uno del Leone. Per arrivare ad un regolamento di conti in tempi non troppo lunghi. Anche se molto dipenderà dalle scelte sulla successione alle Generali. La candidatura di Galateri viene avallata da tutto il governo. Per il premier è anzi il nome che “per ora” può lasciare inalterati i rapporti di forza per arrivare successivamente al redde rationem.

Nei calcoli di Berlusconi, comunque, i risvolti “politici” non sono affatto secondari. Tant’è che in extremis, quando ormai la manovra era stata concordata e realizzata, un suo fidatissimo collaboratore ha fatto pervenire attraverso i consueti “canali diplomatici” alcuni dubbi a Nagel: “Questa è una cosa che serve al Terzo Polo”. Un incubo per il capo del governo. A suo giudizio, il profilo di Montezemolo si è stagliato nell’orizzonte che interseca politica ed economia attraverso l’attivismo di Diego Della Valle che – osserva qualche spettatore interessato nell’esecutivo – è stato utilizzato come un “buldozer”. E dalle parti di Palazzo Grazioli è diventato un fantasma che incute paura.

Non solo. La vicenda ha decisamente peggiorato i rapporti – già non idilliaci – tra il Cavaliere e Tremonti. L’inquilino di Palazzo Chigi è consapevole della battaglia che si è consumata sulle nomine nelle società pubbliche tra il ministro (con il sostegno della Lega) e Letta. Una lotta che solo in parte ha ridisegnato la geografia del potere “statale”. Ma che ora viene illuminata da un’altra luce se si sovrappongono le “novità” di quelle designazioni con la “novità” determinata dall’eclissi di Geronzi. Che, secondo ambienti vicini a Via XX Settembre, ha pagato la crisi del rapporto con “il corpo delle Generali”. Due entità che non si sono mai avvicinate e comprese. Segnate dalla differenza “tra un “Quirite” romano e i cittadini di Innsbruck”.

Secondo gli stessi ambienti, l’ex presidente del Leone triestino ha cercato di usare “i medesimi metodi da quirite utilizzati in Mediobanca: ma non si può arrivare a Generali con Dagospia e De Mattia. Voleva fare di Generali la base per Mediobanca”. Così invece di andare in “surplace, è andato di corsa. E che abbia sbagliato lo dimostra che si è messo tutti contro: da Pelliccioli a Caltagirone. Non ha capito che quel mondo non vuole finire sui giornali se non per i bilanci”. Ma per Berlusconi, quegli errori contano molto meno di quel che può accadere d’ora in avanti.

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