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(WSI) – «Non sono certamente io il mandante. Roberto Calvi è stato “suicidato” e i suoi assassini e i mandanti, secondo me, vanno cercati in Polonia». Si difende l´ex venerabile della loggia massonica P2, Licio Gelli, interrogato il 4 luglio scorso a Roma, in qualità di indagato dai pubblici ministeri, Maria Monteleone e Luca Tescaroli, che conducono l´inchiesta sull´omicidio del banchiere Roberto Calvi, ex presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato sotto il ponte dei Frati neri a Londra il 18 giugno del 1982. Gelli è formalmente accusato di essere uno dei mandanti della morte del banchiere assieme al faccendiere Flavio Carboni, la sua amica Manuelea Kleinsing, il boss mafioso Giuseppe Calò e l´imprenditore Ernesto Dioatallevi che nell´aprile scorso sono stati rinviati a giudizio e saranno processati il 6 ottobre prossimo con l´accusa di omicidio volontario premeditato.
Secondo l´accusa l´ex venerabile e gli altri imputati avrebbero provocato la morte di Roberto Calvi per «punirlo» di essersi impadronito di considerevoli quantità di denaro appartenenti ai boss di Cosa nostra e allo stesso Gelli. Una morte decretata anche per impedire a Roberto Calvi – scrivono i pm romani – «di esercitare potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-isituzionali, della massoneria, di appartenenti alla loggia P2, dello Ior (la banca del Vaticano), con i quali aveva gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro, anche provenienti da Cosa nostra e da enti pubblici nazionali». Ma Gelli, interrogato dai pm alla presenza del suo avvocato, ha negato tutto ed ha indicato ai magistrati romani altre «piste». Tuttavia l´ex venerabile concorda con i magistrati sul fatto che Roberto Calvi fu ucciso e non si suicidò.
Rispondendo alle domande dei pm Monteleone e Tescaroli, Gelli ha raccontato che conobbe Roberto Calvi negli anni ‘75-´76. Gli fu presentato dal generale Miceli e da Umbeto Ortolani, appartenenti alla P2. «Per me Calvi fu «suicidato» ha detto Gelli negando di avere avuto rapporti con il Banco Ambrosiano. Ci fu un solo contatto, nel 1981, quando fece un finanziamento al Banco Ambrosiano di Nassau per 10 milioni di dollari che gli furono restituiti un mese dopo.
Nell´interrogatorio Gelli parla anche della vicenda del Corriere della Sera e racconta che Tassandin e Rizzoli gli chiesero una mano per vendere una quota del giornale. «Io – ha detto – misi solo in contatto loro con Calvi e non ho partecipato alle trattative».
Nei verbali di interrogatorio Gelli ricorda anche la sua fuga dall´Italia nel 1982 quando venne coinvolto nelle inchieste giudiziarie. Si rifugiò in Svizzera dove fu poi arrestato, ma dopo poco tempo evase clamorosamente. Come? «Ero andato in Svizzera per difendermi meglio ed ero fuggito dall´Italia quando ebbi sentore che mi volevano arrestare (Gelli indica in un avvocato la «talpa» che lo avvertì). Ai pm ha dichiarato: dopo essere stato arrestato in Svizzera «sono scappato perché ho trovato tutte le porte aperte». «Ricordo che la sera della mia evasione – ha raccontato l´ex venerabile – il direttore del carcere, accompagnandomi in cella mi disse che in Svizzera non è reato evadere, ed io l´ho preso in parola. La polizia svizzera mi diede una mano per far partire il furgone sul quale ero stato nascosto sotto una coperta».
Gelli ha fatto riferimento alla banca del Vaticano ed al «movente» che avrebbe provocato la morte di Roberto Calvi. «Una sera ero a cena con Calvi, era scuro in volto, mi disse che il giorno successivo doveva andare dal “Santissimo”, in Vaticano, per avere 80 milioni di dollari che doveva pagare per fatture relative alla Polonia e che se non li avesse avuti avrebbe fatto saltare tutto». «Il fatto è del ‘79-´80 – ha dichiarato Gelli – e per questo ho detto che per trovare gli assassini di Calvi bisognava indagare in Polonia».
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