(Dall’inviato Daniele Alegiani Sagnotti)
Il superdeficit americano preoccupa sempre di più gli europei. La politica dell’amministrazione Bush resta espansiva, il disavanzo pubblico raggiungerà quest’anno il livello record di 521 miliardi di dollari e, accoppiato al deficit corrente indebolisce il dollaro, spinge al rialzo l’euro e crea una situazione che minaccia la fragile ripresa europea.
E’ qui a Boca Raton, in Florida, al vertice dei ministri finanziari del G7, che i Paesi europei hanno trovato la prima occasione per esprimere formalmente la loro forte preoccupazione al segretario al Tesoro John Snow e al presidente della Fed Alan Greenspan, quattro giorni dopo che il presidente Bush ha presentato al Congresso un progetto di bilancio record da 2.400 miliardi di dollari.
A sostenere i timori dei Paesi europei ci sono i nuovi dati sulla crescita presentati dal Fondo Monetario Internazionale. Rispetto alle stime di settembre il Fmi ha rivisto al rialzo la stima della crescita mondiale per quest’anno portandola al 4,5%. Per gli Stati Uniti e l’Asia il miglioramento è ancora più forte: rispettivamente 4,6% e 7,3%.
Resta invece al palo Eurolandia, per la quale l’incremento al 2% è di poco superiore al tasso di espansione dell’1,9% già assegnatole. Ferma anche l’Italia all’1,7%. La ripresa economica, spiegano quindi gli economisti del Fondo, c’é, ma gli Stati Uniti accelerano e la distanza con il Vecchio Continente aumenta. A Snow e Greenspan i ministri europei hanno ripetuto che le oscillazioni dei cambi e il supereuro possono creare problemi alla ripresa economica europea, considerata ancora fragile.
Ma per gli Stati Uniti il problema europeo non è il dollaro debole, quanto l’assenza delle riforme strutturali e di politiche macroeconomiche espansive, in chiaro riferimento ai tassi troppo alti della Bce. Argomentazione a cui si ribatte che eventuali riforme europee non avrebbero per conseguenza un calo del disavanzo degli Usa, che devono piuttosto cercare un migliore equilibrio interno tra risparmio e investimenti.
All’invito americano a crescere di più, gli europei rispondono, insomma, che sono loro a dover risolvere lo squilibrio della proprio economia cercando di ridurre l’indebitamento pubblico e facendo in modo che le famiglie risparmino di più. Una ricetta difficile, che da almeno dieci anni nessuno a Washington riesce ad attuare. A questo punto il confronto di oggi e domani a Boca Raton rischia di trasformarsi in un braccio di ferro, che sarà risolto diplomaticamente nel comunicato finale.
E l’ultimo tocco al testo, l’ultima scelta delle parole, la faranno come è consuetudine il presidente della Fed Greenspan e quello della Bce Trichet. Saranno loro, infatti, ad assumersi l’ultima responsabilità della comunicazione ai mercati che lunedì rischiano di far affondare di nuovo il dollaro. E dovranno anche cercare di far capire che se dal G7 di Dubai a settembre la “maggiore flessibilita” richiesta c’é stata tra dollaro ed euro, lo stesso non è successo in Asia, dove lo yen e le altre valute non hanno fatto la loro parte.
Per il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, il vertice di Boca Raton è stato anche l’occasione per illustrare il disegno di legge che riforma il sistema di tutela del risparmio dopo il crac Parmalat. Misure che hanno bisogno di una estensione a livello internazionale, perché l’iniziativa deve essere allargata ai centri off shore, aumentando la trasparenza, in particolare per quanto riguarda gli assetti proprietari.