(WSI) – Solitamente sono io a porre legittimi dubbi sull’eccessivo ottimismo di alcuni politici e regolatori riguardo i tempi della crisi e l’arrivo della sua fine. Stavolta, invece, è stato il Monetary Policy Committee della Bank of England a spegnere sul nascere i facili entusiasmi parlando a chiare lettere di «false albe per l’economia» e di un inverno che potrebbe portare in dote ulteriore aumento della disoccupazione, contrazione del credito e della domanda interna oltre a nuove, pesanti svalutazioni nel comparto bancario. Insomma, una nuova ondata di crisi.
La decisione all’unanimità di mantenere pressoché a 0 i tassi di interesse, d’altronde, parla questa lingua: il paese europeo che più di ogni altro ha pagato il prezzo prima allo shock finanziario e poi alle ripercussioni sull’economia reale resta pesantemente sulla difensiva. Insomma, i dati macro parlano chiaro e i rally borsistici di queste ultime settimane potrebbero essere nulla più che assalti alla diligenza della speculazione, ovvero interventi a freddo su commodities e cross monetari che innescano sì acquisti in grande stile, ma al primo segnale di “stop” fanno crollare il castello di carta. Se puo’ interessarti, in borsa si puo’ guadagnare con titoli aggressivi in fase di continuazione del rialzo e difensivi in caso di volatilita’ e calo degli indici, basta accedere alla sezione INSIDER. Se non sei abbonato, fallo ora: costa solo 76 centesimi al giorno, provalo ora!.
E non è un caso, in tal senso, che alla vigilia del G20 la Federazione mondiale delle Borse si sia lanciata all’attacco dei mercati paralleli, i sistemi “over-the-counter” od Otc, mettendo in guardia i paesi appartenenti al consesso dei Grandi che queste piattaforme di trading potrebbero non funzionare in maniera appropriata e favorire la volatilità anche sui mercati ufficiali e regolamentati. Secondo quanto riportava ieri il Financial Times, alla vigilia del vertice di Pittsburgh, la World Federation of Exchanges si è fatta avanti con una lettera a Mario Draghi, che oltre ad essere governatore della Banca d’Italia è anche il presidente del Financial Stability Board, l’ente transazionale con sede a Basilea che cura il coordinamento tra i vari paesi su regole e stabilità del settore finanziario.
Tuttavia le accuse delle Borse rischiano di innescare forti attriti con le grandi banche internazionali, i principali operatori di questi mercati paralleli, chiamati anche “dark pools”, o “pozzi oscuri” in quanto i dettagli delle transazioni che vi vengono effettuate sono resi noti solo dopo la loro chiusura. Secondo le Borse «l’elevata opacità» di queste piattaforme «inibisce la capacità di determinare i prezzi», che deriva dall’incontro tra domanda e offerta, riportava il Ft «e può portare a ripercussioni negative, tra cui una maggiore volatilità dei mercati».
Le banche rivendicano che si tratti di una attività legittima, che riguarda operazioni rilevanti su titoli finanziari (azioni, obbligazioni o derivati), che è difficile e costoso effettuare sui mercati ufficiali, dove l’ammontare massimo del singolo ordine viene continuamente assottigliato. Inoltre le stesse Borse gestiscono in certi casi dei loro mercati Otc: secondo il Ft la mossa della federazione delle Borse mette in rilievo un’intensificazione delle attività di lobbying per persuadere la politica a far confluire tutte le operazioni di trading sui titoli finanziari nei loro circuiti.
Nei mesi scorsi i mercati Otc sono stati oggetto di critiche da più parti e alcune di queste piattaforme sono state accusate di aver esacerbato la volatilità dei prezzi sui titoli derivati, riportava ancora il quotidiano della City. Lo scontro, quindi, sta diventando non tra Robin Hood e lo sceriffo di Nottingham come vorrebbe farci credere la bozza preventiva del G20, tagliata su misura per il populismo di Sarkozy, bensì tra due diversi tipi di sceriffi di Nottingham: quello regolare, trasparente ancorché non limpido né immune da colpe delle Borse regolamentate e quello dei “pink sheets”, dei mercati oscuri dove si fanno i veri soldi, dove si avviano i processi speculativi – l’Ice di Londra con il suo mercato dei futures sul petrolio Usa ne è la conferma – che poi si ripercuotono sui mercati e soprattutto dove le grandi banche internazionali hanno maggiori interessi.
Siamo certi che, purtroppo, sui grandi giornali si darà poco conto di questa contrapposizione, per il semplice fatto che le banche hanno interessi su quei mercati e le stesse sono spesso editori dei principali quotidiani: il fatto che il Financial Times abbia lanciato la notizia appare un chiaro segnale verso Basilea più che verso Pittsburgh.
Tanto più che se la logica delle nuove norme invocate da più parti per i mercati deve essere quella della trasparenza e della fine dell’epoca dei “derivati dei derivati”, allora il mercato Otc appare davvero il luogo deputato per la prima mossa. In quanti, però, saranno davvero pronti a compierla non è dato a sapere. I sistemi over-the-counter sono veri e propri campi minati, sono il palcoscenico preferito dei grandi player perché si può operare nell’ombra e metterci mano potrebbe risultare da un lato controproducente – ricordo ancora qualche giacobino che chiedeva l’eliminazione dei contratti futures, salvo poi rendersi conto che senza quei contratti le linee aeree ci farebbero pagare un volo Milano-Londra 1.000 euro – e dall’altro poco salutare per amministrazioni politiche come quella americana o britannica che alle lobby dei mercati devono molto, anche in termini di ricchezza del paese e posti di lavoro.
Il fatto che ieri al Congresso il segretario Usa al Tesoro, Tim Geithner abbia parlato di necessità di uno schema di protezione per i consumatori e del miglioramento dei meccanismi di funzionamento dell’agenzia chiamata a vigilare sul fatto che le banche non debbano diventare “too big to fail” fa capire quale sia l’impostazione Usa nello scegliere le priorità da affrontare: c’è quindi il forte rischio che al G20 si consumi uno strappo ma anche che i troppi temi sul tappeto facciano passare in secondo piano le reali battaglie in atto tra i partecipanti al vertice.
È di ieri infatti la conferma che il Caspio sia il teatro della nuova corsa alle risorse energetiche e che il Turkmenistan potrebbe essere un paese-chiave, su cui si addensano gli appetiti geopolitici delle più grandi potenze del mondo: la Russia, la Cina, gli Stati Uniti, l’Unione europea, l’Iran e l’India.
Gurbanguly Berdymukhamedov, il “dominus” della repubblica centro-asiatica, ne è consapevole e sta giocando la sua partita su diversi tavoli: ieri l’agenzia di stampa Interfax dava infatti conto di un incontro a New York tra il presidente turkmeno e il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, durante il quale Berdymukhamedov ha ricevuto la promessa di aiuto americano nella complessa opera di diversificazione delle forniture di gas, risorsa di cui il Turkmenistan è uno dei Paesi più ricchi al mondo. Mossa che, come potete facilmente intuire, non suscita gli entusiasmi di Russia a Cina. Ma al G20 si parlerà di bonus ai banchieri e nuove regole. Poveri noi.
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