ROMA – Ci mancava solo Emma Marcegaglia a criticare la maggioranza. Per Berlusconi il vero problema si chiama Giulio Tremonti che impedirebbe una politica di sviluppo e una incisiva riforma del fisco. I berlusconiani di origine Forza Italia ne parlano come il problema numero uno. Anche il neoministro della Cultura Galan lo dice espressamente quando ricorda che l’azione del governo non rispecchia in alcuni settori, innanzitutto in campo economico, le ispirazioni e le idee originarie di Fi. Tuttavia il premier è convinto che la base degli imprenditori è ancora con lui mentre quella di «Emma» è un ulteriore segnale del vuoto che si sta creando attorno a lui al vertice degli ambienti industriali e finanziari italiani. E in questa tenaglia, ovviamente, ci mette anche la sconfitta subita in Generali dal suo amico Geronzi e i movimenti di un possibile impegno politico di Luca Cordero di Montezemolo. «Tanto fumo e niente arrosto», a sentire il premier che è convinto di essere insostituibile, di avere i voti mentre gli altri rischiano di non entrare nemmeno in Parlamento.
Tanta sicurezza però non è giustificata: lo dicono gli stessi osservatori vicini a Berlusconi. Sono coloro che hanno la netta sensazione che il Cavaliere non sarà più il candidato alla premiership nel 2013 o quando saranno le elezioni politiche. Neanche la Lega lo sosterrà ulteriormente. E allora ritornano in pista i preparativi: i cosiddetti “riposizionamenti” per il dopo Berlusconi. Riunioni (mercoledì c’è quella dei fedeli di Scajola). Cene tra ministri di peso ex Forza Italia, con alcuni dei quali che puntano alla successione (c’era pure Alfano l’altra sera attavolato). Difesa arcigna degli ex An nell’occhio del ciclone. Con Ignazio La Russa teso come una corda di violino che rifiuta di passare come il «male assoluto» del Pdl. Consiglia di rimanere calmi il capogruppo Cicchitto: «In un momento di così acuto scontro politico interno e con così seri problemi riguardanti i rapporti dell’Italia con i Paesi del Mediterraneo e con quelli del’Europa, tutto si può fare tranne che aprire all’interno del Pdl contenziosi determinati non da seri dissensi politici». Se ne parlerà dopo le amministrative.
Berlusconi non ha tempo per le liti nel Pdl. Oggi sarà in aula per il processo Mediaset. Poi da domani ricomincia la votazione sul processo breve. Il premier non teme agguati e che pezzi della maggioranza si stacchino. Era circolata la voce che Scajola fosse in partenza per il Terzo Polo, ma l’ex ministro ha detto ai suoi collaboratori che a Montecitorio bisogna esserci e non fare scherzi. Quanto al suo passaggio nell’area dell’Udc ha spiegato che non intende «lasciare il grande per il piccolo: io sono tra i fondatori di Forza Italia e del Pdl, e voglio che il partito funzioni. Ho sempre lavorato per unire e con Berlusconi sono legato da un rapporto antico e familiare». No, Berlusconi più che la sua maggioranza teme il Quirinale perchè sa che, una volta approvata la legge sul processo breve, al Colle ci sarà un passaggio difficile. Un passaggio certamente «problematico» annuncia il tam-tam che arriva dal Quirinale. E’ questo il nodo più difficile, insieme a quella «scossa all’economia» che non è mai arrivata, con i precari in piazza ai quali non viene data una risposta e con Tremonti che gli tiene le mani legate. Per non parlare poi delle tensioni con Lega e dell’isolamento in Europa per gestione dell’immigrazione.
Quindi, altro che mettersi a litigare, perché il sogno che ha fatto Giuliano Ferrara potrebbe diventare un «incubo», per dirla con Osvaldo Napoli. Il direttore del Foglio ha scritto sul «Giornale» un avviso ai naviganti che ha il sapore di una chiacchierata con Berlusconi stesso. «Cari amici, se continua così con la stessa rapidità con cui sono sceso in campo me ne ritorno in tribuna a godermi lo spettacolo». Attenti, il capo «può mollare». Del resto lui ha «buoni avvocati». «E fuori dalla politica – prosegue Berlusconi nel sogno di Ferrara – diventerei una preda meno ambita dei rapaci delle procure combattenti e delle opposizioni al loro laccio. Me la cavo, state certi». Nessuno si illuda di poterlo mandare in pensione e di coltivare «ambizioni, personali e di gruppo. Lo champagne che qualcuno stapperebbe il 25 luglio avrebbe un retrogusto amaro e in breve tempo vi ritrovereste assetati e affamati, con i vostri progetti e la vostra dignità politica a disposizione della Repubblica delle procure e dei suoi speaker politici».
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La guerra per bande lacera il Pdl
C’è da riorganizzarsi per il dopo-Berlusconi. Sul Giornale Giuliano Ferrara avverte i berluscones: “Attenzione il Cavaliere potrebbe mollare”. E la settimana che si apre metterà in evidenza in modo palese i movimenti intestini dentro il partito. Annunciate diverse cene in cui i pretoriani del premier faranno il punto sulle diverse correnti.
Roma – Provocazioni o avvertimenti? Dopo la suggestione del Cavaliere “bollito”, ecco l’immaginario onirico di Giuliano Ferrara, oggi come ieri spin doctor di Silvio, che piomba nell’agone dello scontro interno al Pdl e provoca un pandemonio. “Attenzione – sogna ad occhi aperti Ferrara nel suo fondo sul Giornale, di fatto lanciando un preciso messaggio politico ai “famigli” – il Cavaliere potrebbe mollare”. E per voi, complottardi e fedifraghi pidiellini, si legge in filigrana tra i caratteri dell’editoriale, sarebbe la fine. Osvaldo Napoli, berluscone di sicura fede, legge e fa il pompiere: “Se il sogno di Ferrara fosse vero, per gli italiani sarebbe un disastro”. Per gli italiani no, per lui certamente sì. Ma il “sogno” di Ferrara è reale e concreto; si tocca quasi con mano. E nel Pdl scorre il veleno.
Oggi il Cavaliere va alla sbarra a Milano. Il partito ha organizzato la claque. È previsto l’arrivo di almeno due pullman e di qualche centinaio di simpatizzanti milanesi. Tutti i parlamentari Pdl lombardi sono stati precettati e alla fine dell’udienza Mediaset il Cavaliere potrebbe tenere un breve comizio, in vista delle elezioni amministrative. Martedì alla Camera i suoi cercheranno invece di salvarlo dai dibattimenti nel rush finale sul processo breve, ma prima che le sue rogne giudiziarie vengano archiviate per sempre nei cassetti, il partito – o quel che ne resta – potrebbe esplodergli sotto il sedere. E proprio alla vigilia del voto.L’imminenza dell’apertura di urne importanti per la prosecuzione serena della legislatura, rendono tutti molto nervosi. I sondaggi sono un disastro e come andrà a finire al comune di Milano rappresenterà comunque uno spartiacque tra un prima e un dopo. Forse già un “dopo Berlusconi”. La partita è dura, durissima. Basterebbe che la Moratti non vincesse al primo turno (ed è più di un’ipotesi) che già molte seggiole e poltrone comincerebbero a scricchiolare.
Per questo il partito fibrilla ora più rumorosamente del solito. Il Cavaliere lo avverte, ma non può metterci mano subito. Deve aspettare il via definitivo al processo breve (forse entro fine maggio al Senato) e i risultati di tutti i comuni in lizza. Per questo è sceso in campo Giuliano Ferrara. Per avvertire tutti, nel Pdl, che è il momento di abbassare le penne e stare compatti. “Cari amici , diceva Il Cav. nel mio sogno dell’altra notte – ecco la suggestione letteraria del sogno utilizzata da Ferrara – consentitemi una fraterna messa in guardia: se continua così, con la stessa rapidità con cui sono sceso in campo, me ne torno in tribuna a godermi lo spettacolo. Ho buoni avvocati, e fuori dalla politica, dove sono stato un elemento di disturbo insopportabile per tanti anni, e ancora adesso, diventerei una preda meno ambita dai rapaci delle procure combattenti e delle opposizioni al loro laccio. Me la cavo, state certi. E se proprio fosse necessario, un patteggiamento per levarsi di torno la malagiustizia alla fine non si nega a nessuno, come un sigaro o un’onorificenza di Cavaliere al merito…”.
Che il Cavaliere pensi davvero ad andarsene è fuor di luogo. Però è attanagliato da una serie di “preoccupazioni” (sono parole dei suoi) che hanno ormai preso il posto del quotidiano buonumore e del suo sfrenato ottimismo. Pesano quei 750 milioni di euro da risarcire a De Benedetti per la questione Mondadori. Pesa l’uscita di scena di Geronzi e la prossima marginalizzazione delle sue teste di ponte finanziarie Vincente Bollorè e Tarak Ben Ammar. Pesa, soprattutto, il pensiero che il Quirinale, dopo tanti sforzi per approvare il processo breve, poi trovi il verso di non firmare; anche questa settimana, d’altra parte, sarà costretto a mettere al chiodo l’intero governo alla Camera per evitare che qualcuno voglia fare lo spiritoso tra i banchi pidiellini e “responsabili” e dia un avvertimento facendo andare sotto la maggioranza. Casomai su un emendamento alla prescrizione breve e bisognerebbe ricominciare tutto da capo. Un rischio non da poco.
Se, insomma, Giuliano Ferrara è arrivato a scrivere in modo tanto chiaro un “attenti che potrebbe arrivare la piena” agli uomini del Pdl, è perché la settimana che si apre metterà in evidenza in modo palese i movimenti intestini dentro il partito; sono state annunciate tante cene e qualcuna potrebbe far saltare la mosca al naso del Capo. Lunedì sera a villa Lesmo, anziché vedere Bossi, Berlusconi si riunirà con Alfano e Gelmini, ufficialmente per fare il punto sulle liste per le amministrative, ufficiosamente per avere il polso del moto ondoso dentro il Pdl e parlare un po’ del Terzo Polo. Da martedì, invece, i “correntoni” interni a un partito che ufficialmente non ne dovrebbe avere nessuno, cominceranno una lunga liturgia di incontri destinata a concludersi giovedì.
Apre le danze Alemanno con i suoi ,”attovagliati” forse proprio vicini al Campidoglio; il sindaco di Roma, già con l’affare Colosseo-Della Valle, ha dato segnali di un’autonomia insospettabile solo pochi mesi prima. E chi fa parte del suo stretto entourage non ha negato che il primo cittadino della Capitale “soffra” di un rapporto troppo discontinuo con i coordinatori Pdl, in particolare La Russa. Mercoledì, poi, la giornata clou, forse con il processo breve approvato giusto di fresco alla Camera solo poche ore prima: da una parte di Roma Scajola conterà (a tavola) se i suoi supporters sono davvero cinquanta e se val la pena far capire a Silvio a che punto è arrivata la sua pazienza, mentre in pieno centro Altero Matteoli farà da perno a una riunione in cui i parlamentari pidiellini toscani potrebbero fare anche i conti su un possibile dopo Verdini e sul loro ruolo interno sulla base di questa premessa.
Un bel panorama di un partito in pieno terremoto. Che Silvio, però, in questo momento non può fermare. A sentire i suoi, lui è più che convinto di poter aspettare, che nessuno – nel Pdl – farà mai davvero un passo più lungo della gamba: “Basta che rimetta mano io e tutto andrà a posto”, dice. Casomai realizzando il sogno di mettere come coordinatore unico quell’Angielino Alfano a cui vagheggia di voler passare il testimone quando deciderà di fare un passo indietro. Solo che non è proprio così. Lo ha ammesso persino Cicchitto: “Dopo le amministrative tutti i problemi riguardanti l’organizzazione del partito sul territorio, la sua vita democratica, la sua classe dirigente andranno affrontati in modo serio”. Ieri la via di fuga, il modo per uscire dall’angolo delle polemiche interne, al Pdl lo ha virtualmente trovato in Gianfranco Fini, reo di aver puntato il dito contro i trasfughi di Fli, rientrati nel ‘gregge belante’ della maggioranza per paura di perdere il posto in Parlamento. Parole che almeno per qualche attimo hanno ricompattato il Pdl in un fuoco di fila contro la terza carica dello Stato. Ma è stato solo un attimo. “Se c’è tanto movimento in giro nel Pdl – diceva, infatti, qualche giorno fa un parlamentare vicino a Matteoli – è perché molti sentono che la fine del ciclo è ormai prossima e cercano un paracadute possibile…”.
Tutto, comunque, ruota intorno al risultato delle amministrative. Ed è per questo che il Cavaliere sta facendo da giorni i conti sui sondaggi del Terzo Polo. Il risultato di queste urne amministrative sarà la cartina di tornasole per testare la reale consistenza della formazione politica capitanata, di fatto, da Casini. “Il Pdl – ha spiegato Berlusconi a Rotondi e Giovanardi ricevuti due giorni fa a palazzo Grazioli – è due punti sopra la sinistra, ma dipende da quello che vuole fare Casini. Se viene con noi quel gruppo perde il 70% dei voti”. Il ragionamento del Cavaliere è andato, quindi, oltre: “Se il terzo Polo si presentasse in coalizione – ha argomentato ancora – non raggiungerebbe neanche il quorum né alla Camera, né al Senato. A Montecitorio è necessario arrivare al 10% mentre a Palazzo Madama lo sbarramento è al 20%”. Nei sondaggi del Cavaliere, sempre targati Ghisleri, il Terzo Polo è al 7%, “e comunque vada – avrebbe osservato il Cavaliere con i cofondatori del Pdl – Fini non verrà neanche eletto alla Camera…”. Chissà. Di fatto lamenta di essere “aggredito” da tutte le parti. A cominciare, come succede sempre, dai suoi amici più fedeli dentro un partito. Che si stanno già spartendo alle sue spalle le ceneri della sua eredità.
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Michele Brambilla per “la Stampa”
(…) L’opinione diffusa è che (…) sul terreno giudiziario, si gioca la partita decisiva sul futuro del Cavaliere.
Ma è davvero così? Chi è vicino al premier è convinto che i suoi crucci siano ben altri. Dal punto di vista giudiziario, infatti, il premier non rischia granché. Al processo di oggi è accusato di una modesta frode fiscale che, anche se fosse accertata, dovrebbe comportare poco più di una multa. Gli altri processi aperti sono tre: quello per la corruzione dell’avvocato Mills, che finirà quasi certamente prescritto; quello detto “Mediatrade”, che dovrebbe anch’esso finire in nulla; e quello innescato dai festini di Arcore, che s’è aperto la scorsa settimana per essere subito rinviato a fine maggio, e che potrebbe essere stoppato dalla Corte Costituzionale subendo un nuovo rinvio, questa volta alle calende greche.
Insomma tutti questi processi, spasmodicamente invocati e attesi da quella parte del Paese che spera in una “soluzione giudiziaria” del caso-Berlusconi, potrebbero procurare al massimo un danno di immagine. E sappiamo che sarebbe un danno molto limitato, visto che – perlomeno in Italia – l’opinione pubblica è ormai talmente arrugginita che chi detesta Berlusconi non avrebbe un solo argomento in più rispetto a quelli che ha già tuttora, e chi lo ama continuerebbe a ritenerlo la vittima di una persecuzione. In poche parole, non dovrebbero essere i processi in corso a cambiare il destino politico del premier. Il quale ha invece, piuttosto, altri grattacapi. Sono sostanzialmente due.
Il primo scenario è economico. Entro il 4 maggio la Corte d’appello civile di Milano dovrà stabilire la cifra che la Fininvest deve versare alla Cir di Carlo De Benedetti per la celeberrima, o famigerata, vicenda del «lodo Mondadori». Due anni fa il tribunale ha fissato quel risarcimento in 750 milioni di euro. Il pagamento fu sospeso, ma dopo la sentenza d’appello del prossimo 4 maggio la sentenza civile diventerà immediatamente esecutiva. Il che vuol dire che la Fininvest dovrebbe presto sborsare 750 milioni, o forse qualcosa di meno se la Corte d’appello opterà per una riduzione, ma in ogni caso una cifra enorme.
Per quanto sterminato sia il patrimonio di Berlusconi, e per quanti utili possano produrre le sue aziende, una simile perdita di contanti comporterebbe contraccolpi pesantissimi. La preoccupazione è tale che l’altro ieri il premier ha attaccato i giudici con toni persino più duri di quelli da lui riservati alle «toghe rosse» della Procura, e ha parlato di «rapina a mano armata».
Ma non è questo l’unico guaio economico. C’è anche la causa di separazione da Veronica Lario, che come sappiamo ha chiesto alimenti da legge finanziaria. Certo anche quelle cifre non basterebbero, da sole, a ridurre Berlusconi a chiedere l’elemosina, come auspicato da D’Alema qualche anno fa. Ma insomma, se la sentenza sul lodo Mondadori rischia di infliggere un duro colpo ai conti aziendali, quella sulla causa di divorzio rischia di colpire i conti personali. Non dimentichiamo che è in gioco anche la spartizione del patrimonio tra i figli di primo e secondo letto.
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