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Fondazioni bancarie esenti dall’Imu. Monti, dov’è l’equità?

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Roma – La notizia ha subito fatto scalpore, con tutto il suo carico di perplessità e sospetti per l’ennesimo “regalo della politica alla politica”. Le fondazioni bancarie, 50 miliardi di patrimonio, la metà del quale investito negli istituti di credito del Paese, sono per il governo organizzazioni No profit e, come tali, non sono tenute a pagare l’Imu. Tradotto, l’imposta sugli immobili che coinvolge cittadini e imprese non alleggerirà di un centesimo le casse di Fondazione Cariplo, Cassa di Risparmio di Torino, CariVerona, Compagnia di San Paolo, Fondazione Monte dei Paschi e tutti gli altri membri del club degli 88 enti creati all’inizio degli anni ’90 da una delle più discusse leggi di riforma del nostro sistema finanziario.

La polemica, che segue la lunga querelle sul trattamento fiscale dei beni immobili del Vaticano, potrebbe quasi esaurirsi qui. Se non fosse che l’assist concesso dal governo alle fondazioni ha saputo riaccendere un dibattito mai sopito: quello dell’ingerenza politica sul sistema bancario italiano.

Circa un mese fa, sulle frequenze di Radio Radicale, il numero uno di Fondazione Cariplo e di Acri, l’associazione che raggruppa le fondazioni bancarie, Giuseppe Guzzetti, e il docente dell’Università di Chicago Luigi Zingales non se le sono mandate a dire. Punto del contendere, manco a dirlo, il recente attacco di Zingales al sistema delle fondazioni definito sulle colonne de Il Sole 24 ore, in un articolo firmato insieme all’economista della Bocconi Roberto Perotti, la “causa fondamentale di quell’intreccio perverso fra economia e politica, di quella cultura dell’incompetenza e del clientelismo, che imperversano nel nostro Paese”. Un’idea ovviamente non condivisa da Guzzetti, colui che da 12 anni occupa la poltrona più alta dall’organizzazione di categoria.

La contesa risale all’inizio degli anni ’90 quando la legge Amato dà vita alle fondazioni scorporando di fatto le attività delle banche. All’epoca, si trattava di trasformare un sistema essenzialmente di diritto pubblico in un settore privato e quotato in Borsa sul modello degli altri Paesi europei. Ma in fondo, dicono i critici, c’era anche la necessità di mantenere intatto il sistema delle influenze politiche e partitiche.

Un sistema che avrebbe potuto sopravvivere proprio attraverso le fondazioni che, come noto, formano i propri consigli direttivi attraverso le nomine pubbliche dei governi locali (comuni, provincie, regioni) e che forti della propria partecipazione azionaria hanno, come a quel punto è logico che sia, voce in capitolo sulle scelte strategiche delle banche.

Proprio questa capacità di controllo ha indotto la Corte di Cassazione a stabilire nel 2009 che le fondazioni saranno pure obbligate a reinvestire gli utili in attività di rilevanza sociale, ma non per questo sono assimilabili al No profit vero con i suoi particolari privilegi fiscali. Un’interpretazione che evidentemente non ha convinto l’esecutivo.

Ad oggi, si diceva, le fondazioni investono circa metà del patrimonio nelle quote delle banche italiane. Unicredit è partecipata al 3,5 per cento dalla Fondazione Cassa di Risparmio Verona, Vicenza, Belluno e Ancona (CariVerona) e al 3,3 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (Crt). Azionisti di Intesa sono nell’ordine la Compagnia di San Paolo (9,7 per cento), la Fondazione Cariplo (4,9 per cento), la Fondazione C. R. di Padova e Rovigo (4,8 per cento), l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze (3,3 per cento) e la Fondazione C.R. di Bologna (2 per cento). Fondazione Mps controlla circa il 37 per cento delle quote del Monte dei Paschi di Siena, la più longeva banca del mondo.

Sono solo alcuni esempi di un intreccio implicito tra finanza e politica che continua a suscitare un certo malumore. Non è un mistero che la recente nomina di Alessandro Profumo al vertice dell’istituto senese e il rinnovo del suo Cda abbiano rappresentato un terreno di scontro tra le diverse anime del Pd locale. Non è un mistero che i piani, poi abbandonati, di una scalata al Banco Popolare da parte di CariVerona avessero ricevuto il forte sostegno del sindaco scaligero della Lega Nord Flavio Tosi.

La priorità odierna, tuttavia, più che politica appare essenzialmente patrimoniale. Già nel 2010 i proventi delle fondazioni risultavano lievemente inferiori ai 2 miliardi di euro, il 21,2 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Nel corso del 2011, inoltre, i dividendi ricevuti dalle sei maggiori fondazioni (Mps, Cariplo, C. di San Paolo, CariPadova, CRT e CariVerona) per la loro partecipazione azionaria principale, sono stati pari a 333 milioni di euro contro gli 1,45 miliardi del 2008. Come a dire che, complice la crisi, un mercato ribassato e una serie di performance borsistiche da far paura, gli introiti azionari si sono ridotti di oltre 1 miliardo nello spazio di tre anni, con Fondazione Monte dei Paschi a farne le spese più di tutti (meno 275 milioni). Oggi l’ente senese è impegnato in una progressiva dismissione della propria partecipazione azionaria con l’obiettivo di risanare i conti su cui pesa una montagna di debiti da 870 milioni di euro.

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