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FOLLIE: LA BCE VUOLE ALZARE
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(WSI) – L’economia europea si è fermata, di nuovo, alla fine del 2004. Anzi in realtà è persino difficile definirla battuta d’arresto visto che per tutto l’anno è sembrata muoversi per forza d’inerzia e non per meriti propri, trainata dall’ottimo andamento globale dei paesi emergenti e soprattutto dagli Stati Uniti.

Gli Usa poche settimane fa avevano annunciato una crescita del 4,4%, la la più alta dal ’99, per il vecchio continente invece le cose sono andate diversamente: la differenza tra gli ultimi tre mesi del 2004 e lo stesso periodo dell’anno prima è +1,6% per Eurolandia e +1,8% per l’Europa a 25. Ma il dato che racconta meglio la brusca frenata è quello più congiunturale: nel quarto trimestre dell’anno appena concluso il pil si è contratto in Germania (-0,2%) Olanda (-0,1%) e soprattutto Italia (-0,3%) rispetto ai tre mesi precedenti.

Si riaffacciano dunque i timori di un 2005 in rallentamento, offuscato persino dalla minaccia di una recessione. E dire che il 2004, stagnante ma tranquillo con tassi di crescita medi superiori all’1% anche nei paesi europei più deboli, doveva essere il trampolino di lancio verso un anno di sviluppo vicino al massimo potenziale. Ma ora il fatidico obiettivo di un +2% adottato dall’Italia, ma anche dal resto d’ Europa assomiglia molto di più a una chimera. Se ne è accorta anche la Commissione Ue che ha ritoccato le stime di crescita del primo e del secondo trimestre 2005 (ora sono tra lo 0,2% e lo 0,6%), lasciando tra l’altro una forchetta molto ampia, ennesimo segno d’incertezza.

Dati così al di sotto delle previsioni avranno una serie di conseguenze rilevanti su molti fronti, innanzitutto rendono molto più arduo per la Bce aumentare i tassi d’interesse. A Francoforte ormai ritengono eccessivo il gap tra il costo del denaro americano (2,5%) e quello europeo (2%) e ieri ci ha pensato il governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, a prefigurare «politiche monetarie meno accomodanti». Rimane il fatto che un rialzo del costo del denaro in questo momento sarebbe un segnale di ulteriore depressione.

E di certo un peso dati congiunturali così negativi li avranno anche nel dibattito sulla riforma del Patto di stabilità che oggi e domani affronta una tappa decisiva all’Ecofin. I pericoli per l’economia spingeranno i ministri a “fare qualcosa” e quindi spingere per una riforma da varare in occasione del vertice di primavera dei capi di Stato e di governo. Sul messaggio di fondo, che il patto deve favorire maggiore crescita oltre che rigore, sono tutti d’accordo ma, fanno notare molti economisti, in realtà né i dati di ieri né serie storiche degli ultimi anni danno la certezza che sia stata un interpretazione rigida dei parametri sul deficit pubblico a spingere verso la stagnazione l’Europa.

Ed effettivamente paesi molto virtuosi come Spagna e Olanda stanno sperimentando situazioni economiche opposte con la recessione che attanaglia il paese dei tulipani e una solida crescita che arride alla Spagna (+2,7 di crescita tendenziale a fine 2004). Stesso discorso per gli “indisciplinati” Francia e Germania che da quattro anni superano la soglia del 3% con risultati molto diversi. I transalpini si sono risollevati (+2%) mentre i tedeschi continuano a deludere soprattutto a causa di un mercato interno praticamente piatto.

Prospettive grigie anche per l’Italia che ha chiuso, secondo le stime provvisorie dell’Istat con un +1,1% cioè molto al di sotto dell’1,4% delle previsioni del ministero dell’Economia. Le speranze di Siniscalco di centrare l’obiettivo rimangono appese ad una successiva revisione che tenga conto dei cinque giorni di lavoro in più di cui il 2004 ha beneficiato rispetto al 2003. Ma sarebbe una ben magra consolazione, innanzitutto anche raggiungendo la soglia del 1,4% non si potrà ribaltare il dato congiunturale sugli ultimi tre mesi che segnala addirittura uno 0,3%. Per il 2005 si annuncia una partenza ad handicap che rende l’obiettivo del 2% di crescita del pil proibitivo e non esclude che il minor gettito fiscale derivante da un’attività economica ridotta apra un buco nelle finanze pubbliche sempre al limite. Possibilità esclusa da Siniscalco.

E poi c’è il problema strutturale di un’economia che vede perdere sempre più il proprio peso industriale, l’Istat ha segnalato un aumento del valore aggiunto realizzato dall’industria (0,7%) solo per i giorni lavorativi in più, depurato segnala una contrazione dello (0,4%). La vera emergenza che dovrebbe essere tamponata dal famoso decreto competitività quotidianamente oggetto di vertici nelle maggioranza (ieri An Siniscalco) ma sempre lontano da una configurazione definitiva.

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