aggiornato con intervista ad Attilio Befera, DIRETTORE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE E PRESIDENTE DI EQUITALIA
Roma – Lo sapevate? Anche il Fisco vedrà il nostro estratto conto bancario. La notizia, probabilmente, lascia abbastanza indifferenti i pagatori seriali di tasse («prego, che veda pure»), inquieta chi ha la coscienza tributaria sporca e apre un dibattito bipartisan sui confini della privacy. E’ giusto o stiamo scivolando verso eccessi degni del Grande Fratello orwelliano?
L’articolo 11 della manovra, quello che si intitola «Emersione di base imponibile» mette nero su bianco il principio che tutti i movimenti su risparmi e portafogli finiranno nel cervellone del Fisco a partire dal primo gennaio 2012. Ad oggi in quel database viene comunicato di default solo il numero del conto corrente. E poco di più. Dal 2005, infatti, cioè da quando esiste l’Anagrafe dei conti correnti, banche e intermediari sono obbligati a segnalare gli estremi dei nuovi rapporti e di quelli che vengono chiusi. Adesso cambia tutto. E il flusso di informazioni diventerà molto più corposo e più preciso.
Se mai si fosse potuto affermare che il segreto bancario era attaccato a un respiratore artificiale, il governo Monti si è incaricato di staccare del tutto la spina. Ma lo smantellamento dell’istituto che ha protetto la riservatezza delle brave persone insieme ai segreti degli evasori non è certo cominciato oggi. Ci siamo arrivati pian piano, anche se negli ultimi mesi l’accelerazione è stata notevole.
I provvedimenti anti-crisi presi quest’estate dal governo Berlusconi avevano già rivoluzionato l’utilizzo dell’Anagrafe da parte dell’Agenzia delle Entrate. Fino a luglio, infatti, l’attenzione del Fisco poteva concentrarsi sulla sterminata messe di dati contenuta nel cervellone (si tratta di oltre un miliardo di comunicazioni) solo davanti a forti indizi di evasione, tali da far scattare un’indagine finanziaria a carico di singole persone o società.
Il controllo puntuale sui movimenti di conti correnti e depositi, quindi, era ovviamente previsto, ma solo dopo l’avvio di un accertamento formale nei confronti di un contribuente ben determinato. La manovra agostana ha invece spalancato al Fisco la possibilità di accedere all’Anagrafe anche solo per elaborare specifiche liste selettive di contribuenti sospetti, in cui potrebbe finire chi risulta «anomalo», per esempio perché ha un numero spropositato di conti o di altri rapporti.
Una novità di cui il Fisco stava ancora discutendo le implicazioni pratiche e le procedure su vari tavoli aperti con le associazioni degli operatori finanziari, coinvolti in prima persona nel fornire ulteriori dati sulla dinamica delle ricchezze dei contribuenti finiti nelle black list dell’Erario. Un dibattito superato (così almeno sembra) dall’articolo 11 della manovra attuale, che stabilisce l’obbligo per gli operatori finanziari di comunicare «periodicamente all’anagrafe tributaria» i movimenti di tutti i rapporti intrattenuti con la clientela «ed ogni informazione relativa ai predetti rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni finanziarie» .
Che cosa significa? Significa che, appunto, il rendiconto annuale di conto corrente, conto di deposito, conto titoli, gestioni, carte di credito e così via potrebbe arrivare in copia quasi conforme al contribuente e al Fisco. In realtà per sapere esattamente quali informazioni aggiuntive finiranno nel cervellone dell’Erario bisogna aspettare il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate che, dopo aver sentito le associazioni di categoria degli operatori, stabilirà le modalità e i contenuti del nuovo ordine.
L’idea, comunque, è che il Fisco avrà accesso ad un mare di dati ulteriori. Quel miliardo di informazioni contenute già oggi nell’Anagrafe si moltiplicherà per «enne» volte e da qui potranno partire elaborazioni ed indagini. Senza bisogno che ci sia un accertamento in corso nè una lista di sospetti su cui domandare ulteriori lumi alla banca.
Copyright © Corriere della Sera. All rights reserved
**********************
INTERVISTA AD ATTILIO BEFERA, DIRETTORE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE E PRESIDENTE DI EQUITALIA
«Basta segreti su conti e patrimoni
Ora possiamo battere i furbi», ci sono gli strumenti per farcela. Solo la Grecia peggio di noi.
di Massimo Mucchetti
Dottor Befera, perché Equitalia è entrata nel mirino del terrorismo?
«Non sono un inquirente. Certo è che le campagne di odio contro Equitalia creano il clima favorevole ad atti criminali ed esecrabili come quello contro il dottor Cuccagna».
Nel web la bomba riceve consensi.
«Consensi figli della disinformazione: casi particolari enfatizzati dai media come se fossero la regola; politici locali e nazionali che cavalcano proteste ingiustificate come quelle dei pochi che non vogliono pagare le multe sulla violazione delle quote latte oppure cavalcano disagi reali come quelli della Sardegna, dimenticando che tocca al governo locale e nazionale decidere eventuali moratorie fiscali e non all’esattore. Equitalia non è un ammortizzatore sociale».
Quote latte, ovvero Umberto Bossi. Sardegna, ovvero Mauro Pili. Le risulta che il sindaco di Bari, Michele Emiliano, si sia mobilitato contro Equitalia e, al tempo stesso, non paghi l’Ici ai Comuni vicini dove la sua giunta ha acquisito immobili?
«Lasciamo da parte le personalizzazioni. Quanto a Bari, un tempo era così, ma poi magari il Comune si è messo in regola. Onestamente, in questo momento non saprei dire».
Pili raccoglie le firme per una legge di iniziativa popolare contro Equitalia.
«Chiedo: andava bene quando 40 società di matrice bancaria riuscivano a riscuotere 1,5 miliardi l’anno di cartelle esattoriali o il Monte dei Paschi, esattore di Roma, avviava una sola procedura nell’intero 2003 e a Napoli chiamavano sfogliatielle le cartelle esattoriali? O non va meglio adesso che Equitalia, con tre sole società operative, ne recupera per 10 miliardi? Quale Paese vogliamo?».
Siete accusati di tassi usurai.
«Bugie. Il 30% si riferisce alle sanzioni. Cancellandole, quanti ancora pagherebbero?».
Troppe provvigioni, dicono i Siti online.
«Di nuovo, disinformazione. Si vorrebbero togliere a Equitalia gli interessi sui ritardati pagamenti e pure l’aggio (il compenso ricevuto dagli esattori, ndr ). Ma gli interessi vanno agli enti impositori, non a Equitalia. E senza aggio i costi di riscossione andrebbero a carico della fiscalità generale, e cioè dei contribuenti onesti. Cerchiamo di essere seri».
Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle entrate e presidente della società di riscossione Equitalia, fondata nel 2006 assieme all’Inps, sta affrontando l’ostilità diffusa di un Paese spesso fiscalmente infedele, ma soprattutto deve dimostrare che il contrasto dell’evasione fiscale, previsto nel decreto Salva Italia, è un capitolo vero della politica economica: una risorsa per la ripresa, come ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco.
Dottor Befera, in quanto tempo l’Italia potrà domare l’evasione?
«Ridurre a livelli europei un’evasione pari a 120 miliardi l’anno non sarà l’opera di un giorno. Non faccio previsioni, ma dico che oggi abbiamo finalmente tutti gli strumenti per operare: l’accesso all’informazione completa sui movimenti finanziari, il redditometro, i limiti nell’uso del contante che consentono la tracciabilità delle operazioni ovvero la notifica, da parte delle banche, delle violazioni di questi limiti».
In Italia è finito il segreto bancario?
«Sì. Finora, all’anagrafe tributaria erano noti i numeri dei conti correnti di tutte le banche. Nel corso di un accertamento, l’Agenzia poteva accedere all’anagrafe tributaria e chiedere notizie alle banche. Adesso, il sistema informatico dell’Agenzia registra tutte le transazioni su conti correnti, fondi, gestioni patrimoniali, polizze assicurative…».
Una massa sterminata di dati.
«Ma oggi l’informatica fa miracoli. E così l’Agenzia può usare questa enorme banca dati per selezionare persone e gruppi di persone meritevoli di controlli. Se emerge che il signor Rossi ha un milione di euro in gestione patrimoniale e dichiara un imponibile annuo di 10 mila euro o se sproporzioni del genere si ripetono all’interno della medesima categoria professionale…».
Già, come nota il «Sole 24 Ore», il 42% delle barche di lusso (42 mila natanti) appartiene a contribuenti con meno di 20 mila euro di imponibile annuo.
«Appunto, si verifica. Nessuno è crocefisso in partenza, ma perché non voler spiegare l’apparente incongruenza?».
È illiberale la fine del segreto bancario?
«Intanto, il segreto bancario non è mai stato assoluto. La magistratura ha sempre potuto accedere alle informazioni, specialmente nel contrasto al riciclaggio. Lo stesso vale per l’Agenzia a fini di accertamenti su soggetti precisi. Ora, grazie a un’apertura introdotta nella manovra di luglio (da Giulio Tremonti, ndr ) e consolidata nel decreto ora all’esame del Parlamento, l’Agenzia supera il segreto bancario in via preliminare. È certo una misura assai forte».
Esistono precedenti all’estero?
«In molti Paesi occidentali il segreto bancario è attenuato. E però nessun altro Paese, a parte la Grecia, ha il nostro livello di evasione. Il tasso di liberalismo si confronta con l’osservanza della legge. Questo è il Paese dove molte imprese, specialmente nell’edilizia, non pagano imposte e contributi, vengono fatte fallire dal proprietario che riemerge poi con nuova ragione sociale e ricomincia. La legge dice che, trascorso un anno dalla cancellazione, non si può più agire, ma ora abbiamo un accordo con le Camere di commercio per essere avvisati delle cancellazioni in tempo reale. Accordo esteso alle Procure».
C’è polemica sul prelievo dell’1,5% sui capitali scudati. Lo Stato verrebbe meno alla parola data. L’Agenzia farebbe fatica a recuperare gettito su risorse che, nel frattempo, possono aver avuto altre destinazioni.
«Sul merito costituzionale non mi pronuncio. Non ne ho la competenza. Sul piano operativo, non sono pessimista. L’intermediario che aveva regolarizzato i capitali costituiti all’estero conosce il cliente. Può risalire e versare a suo nome il tributo conservando l’anonimato ovvero segnalare la difficoltà all’Agenzia che provvede a capirne di più».
Sicché, quando pure la norma fosse dichiarata incostituzionale, l’identità del recalcitrante sarebbe ormai nota all’Agenzia.
«Se la pronuncia ritarda…».
Dei 10 miliardi recuperati quest’anno, quanti vengono dalle grandi imprese?
«Un quarto viene da soggetti debitori oltre il mezzo milione».
Ma avete abbastanza personale per gli accertamenti e le riscossioni?
«L’Agenzia ha ridotto gli organici da 37 a 32 mila. Ogni anno vanno in pensione 1.000-1.200 dipendenti. Finora ne abbiamo assunti 7-800. Non chiedo di più, ma mi auguro che il governo confermi la deroga al blocco del turn over».
Com’è ripartita l’evasione nel Paese?
«Le maggiori quantità di imposte sono evase al Nord, mentre al Sud e nelle isole è più alto il numero di chi non osserva il dovere fiscale, sia per sopravvivenza sia per l’origine criminale del denaro. Il Centro sta a metà strada, senza l’effetto criminalità».
Dovreste concentrare le risorse al Nord.
«Ci stiamo provando. I ranghi dell’Agenzia tendono a concentrarsi al Sud perché il personale è di prevalente origine meridionale e, anche se assunto al Nord, dopo qualche tempo chiede di avvicinarsi a casa. Anche per questo assumiamo quasi solo al Nord».
Il Nord. Così vicino alla Svizzera. Germania e Regno Unito hanno stipulato un accordo con le banche svizzere per la tassazione dei capitali dei loro evasori in cambio della prosecuzione dell’anonimato. E l’Italia?
«Credo che nessun altro Paese seguirà questi due esempi, perché contrastano con gli indirizzi dell’Ocse a favore dello scambio di informazioni tra le autorità fiscali».
Beh, l’Italia ha fatto tre scudi a tassi minimi. Londra e Berlino si prendono un’una tantum per regolarizzare il passato tra il 19 e il 34% e poi le imposte sui rendimenti.
«Non sarei troppo ottimista. I capitali si spostano. Le banche svizzere sono capacissime di girarli a Panama, per dire, continuando a gestirli da Zurigo».
Che stime si fanno per l’Italia?
«Un flusso annuale di 700-800 milioni e un’una tantum di 10 miliardi. A parte l’Ocse, non mi pare che il gioco valga la candela».
La City propone alle banche e alle grandi imprese italiane soluzioni per evadere il Fisco. Vedi il processo a Unicredit che ha utilizzato il sistema Brontos ideato dalla Barclays. Quanti Brontos girano per l’Italia?
«L’Agenzia ha già raggiunto accordi per il recupero fiscale con Unicredit, Mps, Credem, Bpm e sta per stipulare con Intesa Sanpaolo. Dieci-dodici posizioni che ci hanno fatto recuperare un miliardo».
È accettabile che una banca estera spacci simile merce? «Non lo è. Ma è ancor meno accettabile che ci sia chi la compra e poi, dopo aver riconosciuto l’errore e pagato quello che aveva cercato di non pagare, tira avanti senza nulla imputare a chi quell’errore aveva fatto e autorizzato».
Copyright © Corriere della Sera. All rights reserved