Economia

Fiscal Compact: referendum rischia di gettare l’Europa nel caos

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New York – Ieri i mercati hanno accusato immediatamente il contraccolpo della decisione di Enda Kenny, primo ministro irlandese, di indire un referendum per chiedere al suo popolo se ha intezione di partecipare o meno al patto di Fiscal Compact europeo.

Il voto servira’ per determinare se l’Irlanda avra’ accesso o no ai piani di aiuto in futuro. E vorra’ dire altri numerosi mesi di intercezza per il blocco a 17. Si corre il rischio di provocare una frammentazione senza precedenti.

Kenny ha detto che Dublino sta agendo non solo nell’interesse del paese, ma dopo essersi consultato con un team di legali costituzionali. Il procuratore generale ha precisato che su materie di bilancio come il trattato del fiscal compact la costituzione irlandese prevede che si tenga un voto. “Da’ alla gente irlandese – ha detto il leader della coalizione di governo – la possibilita’ di confermare l’impegno preso dal paese quale membro dell’area euro”.

Per fare ricorso all’ESM, il fondo salva stati permamente dell’Eurozona, un paese deve infatti aver prima ratificato e aderito in toto al trattato. Che prevede una rinuncia parziale alla sovranita’ di un paese nel caso in cui questo non rispetti gli obiettivi di pareggio di bilancio fissati. Con il Fiscal Compact all’Ue vengono dati poteri intrusivi di controllo degli stati debitori. Garantisce inoltre l’immunita’ alle autorita’ politiche.

Il governo irlandese aveva gia’ fatto sapere che il suo approccio sarebbe stato strettamente correlato alle prospettive di ulteriori finanziamenti. Il vice premier Eamon Gilmore aveva sottolineato il legame che sarebbe intercorso tra i fondi di emergenza e l’approvazione del fiscal compact.

Questo tipo di tattiche politiche rischiose continuera’ e forse si intensifichera’ durante la campagna referenderaria. Se dovessero vincere i no potrebbe essere interpretato come un voto a favore dell’uscita dall’area euro del paese. In poche parole, il popolo irlandese si rechera’ alle urne con una pistola puntata alla tempia.

Secondo la costituzione del paese, la gente ha il diritto di voto per ratificare qualsiasi trasferimento di sovranita’ all’Europa. Dublino, ad esempio, ha tenuto un referendums in qualsiasi trattato ue dal 1987 a oggi. Allora Raymond Crotty, professore di economia, ottenne una vittoria importante contro lo stato, ottenendo un plebiscito sul “Single European Act”.

Il popolo del trifoglio ha dimostrato di non amare particolarmente i trattati, tuttavia. In due casi nel passato l’opinione pubblica ha detto no alla Ue, per poi approvare i trattati in un secondo referendum. Nel 2008 il patto di Lisbona e’ stato infatti approvato durante un voto popolare svoltosi 18 mesi dopo il primo, che aveva avuto esito opposto.

La scelta di indire un referendum di Dublino offre un’idea dello scontro in atto tra le democrazie parlamentari e quelle costituzionali (in questo caso Germania contro Irlanda) che hanno ancora una volta rappresentato un ostacolo imporante nella strada che porta alla risoluzione della crisi del debito sovrano

A prescindere dal risultato, tuttavia, va detto che il progetto di unificazione fiscale non verra’ compromesso. E’ richiesta infatti la ratificazione di appena 12 stati membri per poter entrare in azione. Sicuramente un voto contrario limitirebbe l’impatto del trattato, almeno dal punto di vista teorico e di immagine che l’Europa darebbe di se’ al mondo. Non e’ pensabile che uno dei paesi venga lascito in una zona di limbo.

Si sbagliavano quelli che pensavano di poter semplificare la situazione intricata in cui si trova l’Europa con una narrativa di 26 paesi contro uno (il Regno Unito). Dopo il ‘veto’ di David Cameron al Trattato Ue a 27 in dicembre, questo evento dovrebbe servire da promemoria, l’ennesimo, sul fatto che in realta’ le cose siano molto piu’ complicate.

In sintesi, un referendum si poteva evitare, ma se le autorita’ europee vogliono che l’integrazione fiscale abbia successo (che sia desiderabile o no), dovra’ avvenire con un mandato forte e chiaro della gente.

E’ un punto su cui anche i mercati dovrebbero soffermarsi. I cambiamenti voluti dal basso (in particolare quando si tratta di austerita’ e altre misure che richiedono sacrifici) ha una possibilita’ molto piu’ alta di resistere al test del tempo.

Ma l’approccio irlandese di afiancare un voto favorevole all’accesso a nuovi fondi di aiuto e un voto contrario all’uscita dall’Eurozona deve far preoccupare per come cerca di semplificare la questione.

C’e’ bisogno di iniettare una vera linfa democratica nella crisi dell’area euro, ma andrebbe fatto in una maniera piu’ limpida. Il Fiscal Compact va presentato per quello che e’ e l’importante e’ che la gente prenda una decisione dopo essere stata informata nel dettaglio sull’argomento.

In questo senso, la scelta irlandese manda un segnale importante, vista la spesso denunciata quasi totale assenza di rappresentanza popolare nelle questioni di politica Ue.