Il 2 giugno del 2000 si è concluso il collocamento sul mercato di Finmeccanica: il titolo venne “offerto” al pubblico al prezzo di €1,5. Oggi, a poco meno di un anno i piccoli risparmiatori che diedero fiducia alla società si trovano con un capitale ridotto di un quarto del suo valore e, bonus share a parte, senza neanche la consolazione del dividendo.
Soprattutto il prezzo di collocamento, più che un supporto dal quale partire, è stato in questo anno di calvario una resistenza da consolidare, se non addirittura una chimera. E pensare che al tempo del collocamento i giudizi positivi sul titolo si sprecavano e venivano fissati dalle maggiori case di brokeraggio target aggressivi e ambiziosi anche oltre i €2.
Oggi questi prezzi obiettivo sono stati rivisti a ribasso ben al di sotto della soglia di collocamento. La revisione (forse un po’ tardiva) appare sicuramente drastica: è vero che il titolo sconta una correlazione altissima con la partecipata STMicroelectonics, la società franco-italiana che produce semiconduttori e in cui Finmeccanica ha una partecipazione del 22%. Il prezzo di STM nell’ultimo anno si è ridotto del 50%, ma è anche vero che i suoi fondamentali evidenziano come oggi Finmeccanica sia trattata a sconto sui multipli. La stessa possibilità di riaccelerazione del settore dei semiconduttori dovrebbe supportare una ripresa del prezzo del titolo, tenuto conto che STM incide per ben il 75% della capitalizzazione di Finmeccanica e che per essa le case di brokeraggio hanno rivisto recentemente al rialzo previsioni di crescita, rating e target. Ripresa che per Finmeccanica si colloca comunque in uno scenario di medio-lungo periodo, con il persistere nel breve della fase laterale di accumulazione progressiva.
In realtà l’elevata correlazione che la quotazione di Finmeccanica esprime con la sua partecipata non è che il segno più evidente di una realtà che spesso sfugge al pubblico dei risparmiatori e cioè che Finmeccanica non solo (tramite anche le sue partecipazioni) è il maggior gruppo manifatturiero italiano per fatturato, ma è anche tra le poche e vere realtà tecnologiche presenti nel listino italiano (sicuramente l’unica tra le blue chip): e con un Nasdaq che è quasi dimezzato dai massimi Finmeccanica è quindi identificabile come un titolo “difensivo” nella categoria dei tecnologici. Fattore al quale sicuramente ha contribuito il fatto di non aver a che fare con una start-up.
Il fatto poi che la società rappresenti una realtà così composita e in fase di profonda trasformazione ne ha reso spesso poco comprensibile la valutazione e quindi difficoltoso l’accostarsi a questo tipo di realtà. In effetti Finmeccanica per 30 anni (dal 1948) si è occupata dello sviluppo delle attività dell’industria meccanica dell’Iri (ma è stata operativa anche nel settore automobilistico, nella cantieristica navale e nel comparto elettromeccanico). La vera svolta e l’embrione della sua attuale forma è arrivato nel ’92, quando, con l’acquisto della EFIN, è diventata leader nel settore della difesa per il mercato italiano.
Dopo un intenso processo di ristrutturazione (durato dal ’97 al ’99…e per alcuni aspetti ancora in corso) la società è passata da conglomerata a holding industriale (anche attraverso un’accorta operazione di divisionalizzazione delle aree di business) e oggi presenta un portafoglio di partecipazioni equilibrato e diversificato (con più del 50% relativo ad Aerospazio&Difesa). Non si è inoltre proceduto immediatamente alla dismissione delle attività non core, per le quali è in atto un processo di intenso risanamento al fine di meglio collocarle presso terzi (vedi trasporti ed energia).
Per capire fino a che punto si estenda il gap tra i fondamentali e la quotazione basta considerare i risultati recenti: l’utile netto è cresciuto lo scorso anno del 27,7%, ma, cosa ancora più importante, la società avrebbe avuto i conti in regola anche senza l’apporto del flusso generato da STM. E anche se il valore della produzione è rimasto stabile non si può trascurare che essa è stata ottenuta con il 10% in meno della forza lavoro (per dismissioni volte anche al contenimento dei costi e al recupero dell’efficienza) e che nel periodo il portafoglio ordini è cresciuto del 18%.
Lo stato di miglioramento della società è poi confermato da un Roe (rapporto tra utile netto e patrimonio netto, misura quindi della capacità di rendere profittevoli i mezzi impiegati) in crescita dal 3% all’11,5%. E anche se alcune attività, come l’energia, sono in rosso, la dinamica resta positiva e in miglioramento proprio nell’Aerospazio&Difesa, core business, che incide per il 65% del fatturato.
Oggi Finmeccanica è impegnata in molte iniziative a livello internazionale nell’ambito del suo business fondamentale e sicuramente il rilancio e il consolidamento del settore aerospaziale e quello della difesa dovrebbero offrire ampie opportunità a una società che presenta tutte le caratteristiche potenziali ideali per coglierle. Il settore infatti è caratterizzato da una forte necessità di cercare partner di rilievo, con valore aggiunto di know-how forte, per far fronte alle commesse in tempi rapidi e con prodotti competitivi.
I nomi che si associano a Finmeccanica nelle varie iniziative sono tra i più altisonanti e di rilievo; e sicuramente il fatto che il gruppo si sia spostato nel processo produttivo verso le parti a maggior valore aggiunto rappresenta un ulteriore possibilità di miglioramento.
Per capire la reale portata e il potenziale di Finmeccanica basta pensare che entro la primavera, con la britannica Bae e il consorzio franco-tedesco-spagnolo Eads, darà vita a Mbda, la prima società missilistica a livello europeo e la seconda al mondo. Ma con Bae Finmeccanica è attiva anche nel campo dei radar e dei sistemi di controllo e con Thales e Dcn sta definendo un accordo per il settore dei siluri finalizzato alla creazione di un leader europeo e secondo al mondo solo all’americana Raytheon.
Solo pochi anni fa Finmeccanica era una corazzata dell’industria manifatturiera, un gigante dai piedi d’argilla a causa della spina nel fianco rappresentata dalla vulnerabilità sul fronte dei conti. Con il piano di riassetto e rilancio è stata rafforzata la posizione finanziaria (supporto flessibile per l’implementazione aggressiva delle strategie), grazie alle joint venture ha acquisito una posizione di leadership stabile e quasi inattaccabile, fondata anche su un ricco portafoglio ordini e su un accorto piano di investimenti nell’ICT (con la possibilità di sfruttamento delle potenzialità nei settori ad alta crescita dei tmt).
Eppure una macchia nel cv brillante di Finmeccanica c’è ed è probabilmente la più attendibile e veritiera spiegazione della sua dinamica in borsa: Finmeccanica è l’ennesima storia d privatizzazioni mancate, la testimonianza della paura e dello scetticismo che ancora circolano in Italia sull’assetto della public company. Il nocciolo del deprezzamento del titolo è nella sua governance: non solo lo stato ha mantenuto una partecipazione del 32,5% (superiore alla soglia di opa, con in più l’Iri all’1,5%), ma ha anche fissato un tetto massimo del 3% per la partecipazione detenibile dai privati nella società.
Questo ha reso Finmeccanica assolutamente non contendible, depredandola dell’extra valore che il mercato assegna alla possibilità speculativa di take over, sulla sola base della giustificazione che essa opera nell’importante business della difesa. Peccato che in paesi non certo meno accorti all’interesse nazionale come l’Inghilterra questo business sia totale appannaggio dei privati. Ma in Italia non solo non vige il capitalismo anglosassone, ma continua a tenere banco un capitalismo “a suffragio ristretto”.
*Donatella Principe è responsabile della ricerca economica presso il centro studi del Gruppo Banca Popolare di Vicenza.