Società

FINANZIARIA INADEGUATA

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(WSI) –
Due delle tre agenzie di rating che certificano la sostenibilità del nostro debito pubblico ci hanno ieri dato un nuovo cartellino giallo. Dopo questo ennesimo declassamento, ci avviciniamo ancora di più alla soglia al di sotto della quale i titoli del nostro debito pubblico non possono essere più utilizzati come garanzia nelle transazioni fra banche e Bce. E’ una soglia che non possiamo in nessun modo permetterci di varcare. Vorrebbe dire tornare a tutti gli effetti alla situazione di inizio Anni 90, facendo più che raddoppiare la spesa destinata a pagare gli interessi sul nostro debito pubblico. Ci costerebbe tanto quanto un nuovo servizio sanitario nazionale. Sarebbero tutti soldi dei contribuenti italiani, destinati per lo più a investitori esteri.

Ieri i mercati hanno reagito alla notizia con un piccolo incremento del divario nel rendimento dei nostri Btp quinquennali rispetto a quello dei titoli tedeschi e finlandesi. Poi lo spread è rientrato sui livelli della vigilia. Poco più di una fronte corrugata. Ma, data la dimensione del nostro debito pubblico, siamo osservati speciali. E quando cambia la percezione di qualche grande investitore istituzionale, come i fondi pensione stranieri, grandi compratori dei nostri titoli di stato, gli altri investitori lo imitano rapidamente. Non c’è alcuna gradualità nel declassamento vero, quello inferto dai mercati.

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Perché le agenzie di rating abbassano il rating sul nostro debito proprio quando i conti pubblici sembrano andar meglio, il fabbisogno si riduce e il governo vara una manovra che, sulla carta, ci permette di rispettare i piani di rientro dal disavanzo concordati con Bruxelles? Le motivazioni addotte dalle due agenzie di rating sono leggermente diverse tra di loro. Mentre Fitch guarda più al medio periodo, al fatto che non c’è stato l’aggiustamento necessario per interrompere il peggioramento dei nostri conti pubblici, accentuatosi dal 2004 in poi, Standard & Poor’s punta il dito proprio contro questa Finanziaria. La ritiene «inadeguata ad affrontare i nodi strutturali dell’economia italiana» perché «porterà ad un aumento di spesa in rapporto al pil invece di una riduzione».

Il fatto è che nel giudicare la sostenibilità del debito pubblico conta forse di più la qualità dell’aggiustamento in corso che la sua quantità. E’ la crescita della spesa pubblica (aumentata di due punti sul Pil negli ultimi 5 anni) ad aver fatto nuovamente salire il rapporto fra debito e prodotto interno lordo in Italia. Non potranno che essere gli interventi di contenimento della spese a portarci fuori dai guai. Saranno inevitabilmente graduali, ma dovranno essere crescenti nel tempo. Solo gli unici in grado di ridurre il debito in modo significativo e duraturo. Anche perché solo tagliando la spesa improduttiva, si può conciliare crescita e risanamento.

Spendiamo in istruzione come i paesi nordici, abbiamo un rapporto fra insegnanti e studenti nella scuola dell’obbligo pari al doppio di quello di Francia, Germania e Regno Unito, mentre i nostri diplomati vanno peggio di chi esce dalla scuola secondaria negli altri Paesi della Ue in quasi tutte le materie, secondo i test internazionali. Nella sanità in alcune regioni più di un quarto degli infermieri si mette in malattia e può essere adibito solo a funzioni di ufficio, lontano dalle corsie, dai malati. Per costruire un’autostrada o una linea ferroviaria, anche su un tratto pianeggiante come la Torino-Novara, spendiamo dal 30% al 50% in più di Francia e Germania. Sono solo alcuni esempi di sprechi diffusi. Tagliandoli si fa solo bene alla crescita, mentre migliorano i conti in modo duraturo.

Speriamo che questo nuovo campanello d’allarme serva a rendere consapevoli della gravità della situazione le nostre tante agguerrite rappresentanze di interessi, possa riportare coi piedi per terra la nostra classe politica. Ce n’è davvero bisogno. Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad un progressivo ridimensionamento della manovra spesso sotto il fuoco della stessa maggioranza. Dopo lo sconto di 500 milioni concesso a Province e Comuni, ci sono stati nuovi esoneri dal ticket sanitari e nuove spese con un aggravio di 600 milioni decise dalla Commissione Affari Sociali della Camera, mentre un emendamento bipartisan ha cancellato i pochi risparmi previsti dalla manovra nella scuola. Affiorano ogni giorno nuove richieste galvanizzate dal successo di questi primi assalti alla diligenza.

Vi è chi, come Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, continua a dichiarare pubblicamente che si poteva aspettare un altro anno prima di rimettere a posto i conti, rispettando i patti sottoscritti dal nostro governo con l’Unione Europea. Non sono pochi poi coloro che, tra le fila della maggioranza, mettono la testa sotto la sabbia affermando che ci si può accontentare di stabilizzare il nostro debito pubblico anziché puntare a ridurlo decisamente. Vivono in un mondo tutto loro. La buona notizia nella cattiva notizia è che forse d’ora in poi ci saranno meno struzzi parlanti in giro.

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