Dal 15 al 18 settembre prossimi l’appuntamento da non perdere per il made in Italy è a Canton, in Cina, a poco più di 100 chilometri da Hong Kong, dove si svolge la China Small and Medium Enterprises Fair (Csmef), che per la prima volta apre le porte agli espositori internazionali.
L’Ice, l’Istituto nazionale per il commercio estero, già prevede la creazione di un padiglione di 10mila metri quadrati, occupati da stand di imprese italiane, dove si svolgeranno incontri business to business, tra operatori italiani e cinesi, affinché si torni a casa con programmi e strategie comuni. Proprio questo è l’elemento distintivo della Fiera di Canton: non soltanto esposizione commerciale, ma vera opportunità di rilancio economico.
Questo tema sta molto a cuore anche alla divisione del ministero degli Esteri italiano, impegnata sul fronte dell’Asia e Oceania, all’interno della quale lavora una task force che si occupa delle iniziative dell’anno dell’Italia in Cina 2006. La task force ministeriale traccia le linee di azione lungo le quali si impegna ad accompagnare le imprese italiane in un possibile sviluppo di relazioni commerciali con la Cina. In particolare, l’agroalimentare rappresenta uno dei comparti che più di altri può diffondere gusti, mode e stili di vita italiani.
Il processo non sarà breve, né indolore e comporta l’assolvimento di due compiti, nel breve e lungo periodo. In primo luogo, è necessario ottenere la tutela delle produzioni agroalimentari italiane e, a lungo termine, immaginare ambiziose strategie e progetti lungimiranti di collaborazione con i cinesi. Quello che farà la differenza sarà la volontà degli imprenditori italiani a delocalizzare uomini e processi in Cina, per superare le barriere linguistiche e culturali. Una delocalizzazione che, però, non comporti stravolgimenti dell’occupazione in Italia, cancellando forza lavoro.
In aiuto, inoltre, possono venire anche il segmento della ristorazione e la pubblicità, ma ciò che resta fondamentale è il fattore umano: non si possono immaginare grandi progetti e gestirli dall’Italia. A questo riguardo, sul fronte italiano, ancora oggi, bisogna superare resistenze che sono soprattutto di ordine psicologico riguardo alla convenienza a inviare uomini e mezzi stabilmente in Cina. Ma come si fa a proporre agli imprenditori italiani, alle prese con la crisi dei consumi, di immaginare grandi scenari di sviluppo a Est? E’ proprio la crisi che si registra sui consumi nei mercati europei l’argomento che deve spingere a pensare in grande verso il mercato cinese, dove una domanda esiste già e c’è una forte volontà di confronto con gli altri Paesi. Del resto, l’Italia può contare su un aspetto che già di per se convince importanti masse popolari che vogliono avere tutti i privilegi di una società avanzata per cui, per esempio, il vino e il caffè rappresentano elementi alla portata del ceto medio.
Ma tra l’Italia e la Cina esiste un problema non secondario: la contraffazione dei prodotti italiani. E una strategia per arginare la questione, la task force già la individua e la scandisce in due momenti: una tutela a livello internazionale dei marchi italiani, attraverso accordi bilaterali e multilaterali, e una collaborazione nel commercio internazionale con i competitori, creando una rete di collegamento tra la produzione in Italia e quella in Cina. Altro elemento da non sottovalutare è quello di presentarsi al mercato cinese non come singole imprese separate, ma come fronti compatti di imprese dello stesso settore, unite tra loro. In questi anni di transizione, prima che si compiano eventuali processi di avvicinamento, però, l’Italia deve stare attenta a non lasciarsi spazzare via da una competizione selvaggia, difendendosi a livello europeo e ottenendo il rispetto di standard di qualità delle produzioni agroalimentari in entrata.