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FIAT, NON SI SA
CHI COMANDA

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(WSI) – Sarà l’anno decisivo per il destino di Fiat e verrà scritto a Torino e a Roma, non certo a Detroit o in un tribunale di New York. Non inganni il passaggio importante del primo scorcio di 2005: il futuro della prima industria manifatturiera d’Italia passa dalla risoluzione del contenzioso con General Motors, ma non si risolve lì.

Quale che sia l’esito, Fiat rimarrà con i suoi problemi: 1) un eccesso di capacità produttiva concentrata in Italia e quindi estremamente costosa rispetto ai concorrenti europei e non; 2) un posizionamento sul mercato non favorevole, leggermente migliorato grazie al rinnovo dei modelli, ma comunque troppo spostato sui segmenti a basso margine e con volumi non adeguati, tanto più che la domanda europea non ha prospettive di crescita; 3) un bilancio strutturalmente in rosso.

Nel piano Morchio proprio il 2005 doveva essere quello del pareggio operativo per il settore auto, il segnale dunque dell’uscita definitiva dalla crisi. Un obiettivo non abbandonato, ma è difficile credere nel miracolo di un’azienda che dopo aver chiuso il 2004 con perdite (stimabili) appena sotto il miliardo di euro riesca ad issarsi al pareggio in solo 12 mesi. Il tutto mentre l’effetto della raffica di dismissioni del 2003 si è esaurito e la posizione finanziaria torna a deteriorarsi.

A tutto questo l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, tornerà a pensare dalla metà di gennaio in poi, cioè dopo aver superato, si spera trovando un accordo, il mese di «mediation» con il suo omologo di General Motors, Richard Wagoner, per evitare di finire in tribunale. Le posizioni ufficiali sono distantissime, a Torino si ritengono in diritto di poter costringere Gm a comprare il 90% di Fiat Auto in un qualsiasi momento a partire dal 25 gennaio per i cinque anni successivi; da Detroit rispondono che quell’impegno è nullo. In realtà le indiscrezioni dicono che già ora si sta trattando sul prezzo di un indennizzo che gli americani dovrebbero versare come ultimo atto di una separazione consensuale.

La concessione e l’entità del risarcimento che dovesse arrivare dagli States darebbe alla Fiat qualche margine di manovra in più ed il tempo di cercarsi nuovi partner industriali. Un esito diverso e l’inizio di una battaglia legale aumenterebbe il livello d’incertezza, ma non cambierebbe la sostanza del problema.

Paradossalmente le cose da fare sono chiare, chi invece s’incaricherà di provare a trasformare un inevitabile ridimensionamento nella base per lo sviluppo futuro, è meno definito. Certo è che l’alleanza globale ed esclusiva Torino-Detroit pensata nel 2000, non si è mostrata in grado di risolvere alla radice i problemi di nessuno dei due soci. Ora c’è bisogno di una prospettiva diversa, si pensa ad accordi con singoli partner piuttosto che ad un altro ingombrante matrimonio.

Ma chi gestirà e piloterà il progetto della «Fiat del terzo millennio»? Marchionne confermato dal mandato degli Agnelli? Le banche creditrici che nel corso dell’anno saranno chiamate a decidere il destino del prestito convertendo da tre miliardi e quindi probabilmente a diventare le nuove azioniste di riferimento? Una soluzione mista tra tutte le precedenti con l’aggiunta di un intervento più o meno diretto dello Stato? O – l’ipotesi più improbabile – la stessa General Motors, costretta suo malgrado a comprare e a gestire la Fiat? Chiunque sia, dovrà fare chiarezza su una strategia che al momento, con i continui ricorsi alla cassa integrazione e l’attenzione tutta rivolta alla questione della put, è a dir poco nebulosa.

Il piano Morchio (e tutte le modifiche successive) si basava su due presupposti: le dismissioni avrebbero fornito il tempo necessario al risanamento industriale. Esaurite le prime, del secondo non c’è traccia, come denunciano ormai apertamente i sindacati che chiedono un nuovo piano industriale. L’unica via percorribile sembra sempre più quella intrapresa da Gm per le sue controllate tedesche e dagli altri operatori tedeschi come la Volkswagen. Tagli alla produzione in Europa occidentale e accordi con le autorità (governo nazionale e locale) per gestire le ricadute sociali di queste scelte. Naturalmente non tutto si risolve agendo sul lato dei costi: ormai imprescindibile l’accelerazione degli investimenti in tecnologia e la riduzione dei tempi di rinnovo dei modelli.

Invece su questi fronti tutto tace, sicuramente non per mancanza di comprensione del pericolo, forse per l’impossibilità di raccontare una verità scioccante: che la Fiat ha fatto la storia dell’industria italiana, ma difficilmente ne rappresenterà il futuro, se non al prezzo di cambiamenti epocali.

Persino l’Avvocato, evitò di farlo, anzi, per non essere «l’Agnelli che aveva venduto l’auto agli americani» fece inserire nell’accordo con Gm questa clausola di put/call che allora venne definito un meccanismo di vendita differita e che ora dà lavoro agli avvocati. I suoi attuali successori, a cominciare dal presidente degli industriali italiani, Montezemolo, non potranno permettersi lo stesso lusso. Il tempo scadrà definitivamente nel 2005. I giornali stranieri si sono chiesti quanto la Fiat rappresenti la difficoltà di tutto il sistema economico italiano, basta questo a qualificarla come il banco di prova inevitabile per un intera classe dirigente chiamata a mostrare se ha la forza e le idee per il rilancio di un’industria e di un Paese.

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