(Teleborsa) – Rivendicando il fatto che la Fiat è l’unica azienda “pesante” italiana d investire 20 mld di € entro il perimetro nazionale, Marchionne mostra estrema fermezza nel portare avanti l’idea di trasferire parzialmente all’estero le unità produttive di Fiat. Le controparti sindacali “classificano” l’iniziativa e le parole dell’AD dell’azienda torinese come un atto unilaterale di forza e oltremodo minaccioso nei confronti delle maestranze di Mirafiori che verrebbe penalizzata qual’ora l’operazione Serbia andasse in porto. Dal conto suo Marchionne si dice possibilista sull’abbandono di Confindustria e sulla disdetta del contratto di lavoro dei metalmeccanici, però solo alla sua scadenza fissata al 2012 ed al riguardo lo stesso Marchionne dice: “Sono tutte strade praticabili di cui si discuterà al nuovo tavolo convocato con il sindacato nazionale”. Marchionne ha poi aggiunto che “se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade ma – ha concluso – non è questa la sede per entrare nei dettagli” e poi sottolinea “Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell’azienda. Dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare” riferendosi evidentemente all’ostracismo totale da parte della FIOM. La questione, secondo Marchionne, è semplice: “Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate: una è sì, l’altra è no”. “Sì – chiarisce – vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana; No vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui a essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro. Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità, sapendo che il progetto “Fabbrica Italia” non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti per l’Italia verranno ridimensionati”.