Società

Fiat, Marchionne: “Andremmo meglio senza l’Italia. Non facciamo un euro di utile, in Italia”

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(aggiornato) – All’indomani della sortita di Marchionne a Che tempo che fa, Maurizio Sacconi non nasconde irritazione per le parole dell’ad Fiat, autore di una “denuncia ruvida e non del tutto condivisibile. Ed era dedicata a governo e parti sociali” dice il ministro del Welfare durante la registrazione di Porta a Porta, in onda questa sera su Rai Uno. Poi Sacconi aggiunge: “Credo fosse tattica per chiedere maggiore competitività e produttività”.

Dalla stessa tribuna televisiva, a difendere Marchionne è il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni. Quando l’amministratore delegato di Fiat parla di scarsa attrattiva del nostro Paese sul fronte degli investimenti, ha “colpito nel segno” afferma Bonanni, che poi punta il dito contro la reazione indignata suscitata da Marchionne nella maggioranza e nell’opposizione: “Si sono tutti irritati. Chiunque sa che chi investe nel nostro paese corre grandi rischi”. Poi il leader Cisl respinge le critiche mosse alla nuova organizzazione del lavoro dagli operai Fiat di Pomigliano e Melfi: “Si sta facendo tutto questo ‘ambaradan’ per dieci minuti di pausa in meno, peraltro retribuiti. Iniziamo a lavorare, poi gestiamo la situazione. Alzare gli scudi è sbagliato: la paura più grande deve essere che l’azienda chiude e non investe”.

“Marchionne mi sembra che ieri abbia dimostrato di essere un po’ più canadese che italiano, visto che è italo-canadese”. La frecciata del presidente della Camera Gianfranco Fini al manager che ha definito l’Italia “un peso” per il Lingotto 1. “Ha detto una cosa – aggiunge Fini parlando durante un incontro con gli studenti a Rovigo – che sarebbe normale se detta da uno che non è un top manager italiano, ma è un po’ paradossale che lo dica l’amministratore delegato della Fiat perché, se è ancora un grande colosso, è stato perché c’è stato il contribuente italiano a garantirlo”. Poi Fini allarga l’orizzonte e si occupa di crisi economica. Non minimizzando i rischi che corre il nostro Paese. “Tenere i conti pubblici sotto controllo per evitare di andare con le gambe all’aria non è un ‘pallino’ di questo governo, una necessità perché altrimenti c’è la Grecia”, dice il presidente della Camera.

Chi invece plaude alle parole dell’ad Fiat è il coordinatore del Pdl, Sandro Bondi. Frasi che suonano come un affondo a Fini: “Se l’Italia avesse ancora una classe dirigente nazionale degna di questo nome e dei leader politici autorevoli, si interrogherebbe a fondo sulle affermazioni di Marchionne. Ignorare o peggio polemizzare con una sua battuta paradossale quanto allarmata significa far finta che i problemi non ci siano e che tutto possa continuare come nel passato. La sinistra lo può fare, tutti coloro che lavorano per il cambiamento e la modernizzazione dell’Italia no”.

“Marchionne non va demonizzato” aggiunge Pier Ferdinando Casini, che si schiera dalla parte dell’ad del Lingotto. “Anche se la Fiat ha ricevuto ingenti contributi dallo Stato ha cento ragioni, come quando parla di perdita della competitività in Italia o degli stranieri che non investono nel nostro Paese. Dice cose sacrosante – insiste il leader dell’Udc – non riesco a dargli torto. Bisogna rendersi conto della realtà, altrimenti la Fiat chiude le saracinesche delle fabbriche e va in Serbia”.

Parla invece di “parole offensive e indegne” il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro. “Infatti, è noto a tutti – spiega – che la Fiat ha sempre ricevuto denaro pubblico, così come è noto che è stata salvata, alcuni anni fa, dal sistema bancario italiano, e che la cassa integrazione attiva nelle fabbriche Fiat, da metà del 2008, è pagata dai contribuenti italiani. Insistiamo nel chiedere a Marchionne: quali sono i prodotti che si faranno in Italia, dove e in quali stabilimenti? In che modo saturerà gli stabilimenti italiani che sono fermi da mesi? Marchionne dica anche dove andrà a prendere i soldi che deve restituire al governo americano per la vicenda Chrysler e dove intende reperire le risorse per il debito Fiat, ben lontano dal pareggio dichiarato. Infine, ci piacerebbe sapere cosa succede a Termini Imerese”, conclude.

Il Pd punta il dito contro “le carenze della Fiat nelle politiche per gli investimenti, nella progettazione e produzione di modelli, nell’organizzazione produttiva”. Per Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro, “oltre a scaricare le responsabilità sui sindacati, Marchionne dovrebbe dire quali sono i contenuti del piano Fabbrica Italia. Il governo invece di stare a guardare dovrebbe finalmente mettere in campo una politica industriale per il settore auto. La Fiat ha sempre ricevuto denaro pubblico, così come è noto che è stata salvata, alcuni anni fa, dal sistema bancario italiano, e che la cassa integrazione attiva nelle fabbriche Fiat, da metà del 2008, è pagata dai contribuenti italiani”.

Parla anche Pier Luigi Bersani, che chiede “quale modello per fare le auto abbiamo in testa: la Cina e la Serbia o la Germania e la Francia? Ci vogliono regole universali sul lavoro altrimenti diventiamo cinesi anche noi. Dobbiamo avere in testa l’Europa”. “Se fossi il governo – continua il leader Pd – chiamerei la Fiat e i sindacati e cercherei di vederci chiaro perchè non vorrei il gioco del cerino perchè qui c’è in gioco il Paese e ognuno deve dare il suo contributo”.

Sul fronte sindacale, si fa sentire la Uil: “Il nostro Paese per la Fiat rimane uno dei migliori mercati europei. Senza l’Italia, non vedo dove la Fiat possa costruire le auto da vendere in Europa. L’importante è che Marchionne sia disposto ad accogliere le sfide, non solo a parlarne” dice il segretario Luigi Angeletti.

Dopo le critiche di tutto il mondo della politica, ora una vera e propria «bocciatura» arriva anche dalla terza carica dello Stato. «Marchionne mi sembra che domenica abbia dimostrato, pur essendo italo-canadese, di essere più canadese che italiano» ha sottolineato il presidente della Camera Gianfranco Fini, censurando le parole pronunciate domenica dall’amministratore delegato della Fiat al programma di Fabio Fazio su Rai3. Fini ha parlato ad un incontro con gli studenti delle scuole superiori di Rovigo.

LA FIAT DEVE TUTTO ALLO STATO ITALIANO – «Ha detto una cosa naturale per il top manager canadese. Ma è un po’ paradossale che lo dica l’amministratore delegato della Fiat, Fabbrica Italiana Automobili Torino, perché se la Fiat è un grande colosso lo deve al fatto che è stato per grandissimo tempo il contribuente italiano, lo Stato, a impedire alla Fiat di affondare», ha aggiunto Fini.

COMPETITIVITA’ – Certo, ha aggiunto Fini, «il nostro è un Paese che per mille ragioni ha una scarsa capacità di attrarre capitali, e competitività del lavoro». «A parte questa puntura di spillo ha aggiunto – non è un paradosso che dica a noi, alla classe dirigente, attenzione perchè non abbiamo più la capacità di competere, di stare sul mercato con una concorrenza molto marcata?». Fini, che ha parlato della competizione data dalla globalizzazione, ha concluso dicendo che «l’Italia deve sapere che non riuscirà a vincere la competizione puntando sulla quantità, deve farlo puntando sulla qualità».

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“Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia”. E’ quanto ha detto l’ad del lingotto Sergio Marchionne ospite della trasmissione ‘Che tempo che fa’, condotta da Fabio Fazio. Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell’utile operativo previsto per il 2010 – ha concluso – arriva dall’Italia. Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre”.

“Io in politica? Scherziamo? Faccio il metalmeccanico, produco auto, camion e trattori”. E’ quanto ha detto l’ad del lingotto Sergio Marchionne conversando con Fabio Fazio a ‘Che tempo che fa’.

RIPAGATO QUALSIASI DEBITO CON L’ITALIA – “Qualsiasi debito verso lo Stato è stato ripagato in Italia, non voglio ricevere un grazie, ma non accetto che mi si dica che chiedo assistenza finanziaria”. Lo ha detto l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, intervistato da Fabio Fazio, che gli aveva fatto osservare come in Italia la Fiat è sempre stata considerata alla stregua di una azienda pubblica. “La Fiat – ha spiegato Marchionne – ha collaborato con lo Stato per costruire il futuro industriale del Paese, e oggi ha collaborato con il governo Usa per salvare Chrysler”. Secondo Marchionne, quel tipo di collaborazione Stato-Industria esiste in tutti i Paesi del mondo, l’importante é ripagare i prestiti e che lo Stato non diventi gestore delle società”. Riferendosi a Chrysler, Marchionne ha precisato che “noi stiamo risanando l’azienda e pagheremo il debito”. Riguardo all’Italia ha invece indicato che è “noi non abbiamo chiesto finanziamenti come invece hanno fatto i tedeschi e i francesi, e gli incentivi sono soldi che vanno ai consumatori, e aiutano noi indirettamente perché in Italia sette auto su dieci sono straniere”.

SE CHIUDESSI POMIGLIANO PROBLEMA SOCIALE – “Se la Fiat dovesse smettere di fare auto in Campania, avremmo, credo, un problema sociale immenso, specialmente in una zona dove la Camorra è molto attiva”. Lo ha detto l’ad del Lingotto Sergio Marchionne, parlando dello stabilimento di Pomigliano d’Arco. “Considerando l’indotto lavorano 20 mila persone”, ha spiegato per indicare la dimensione del problema. Riferendosi alla missione de Lingotto in zona, Marchionne ha criticato l’atteggiamento “dei sindacati che ci criticano”. Riguardo alle richieste sindacali di conoscere il piano dei nuovi modelli previsti, l’ad di Fiat ha replicato: “Di nuovi modelli ne abbiamo quanti se ne vuole, dobbiamo però dare ai nostri stabilimenti la possibilità di produrre ed esportare, gli impianti devono essere competitivi, altrimenti non possono produrre e vendere niente”. Marchionne ha poi confrontato l’Italia con la Polonia, dove: “I nostri 6.100 dipendenti producono oggi le stesse auto che si producono in tutti gli stabilimenti italiani”.

VOGLIAMO PORTARE STIPENDI A LIVELLI ESTERO – “La proposta che abbiamo fatto è dare alla rete industriale di Fiat la capacità di competere con i Paesi vicini a noi, in cambio io sono disposto a portare il salario dei dipendenti a livello dei nostri Paesi vicini”. Lo ha detto l’Ad del Lingotto Sergio Marchionne parlando delle proposte discusse con i sindacati per le fabbriche italiane del gruppo. “Il salario cambierà – ha aggiunto – se cambierà il sistema di produzione in Italia, può darsi che sia un cambiamento difficile da sopportare, ma vogliamo migliorare i 1.200 euro di stipendio ai dipendenti”.

Conversando con Fabio Fazio durante la registrazione di ‘Che tempo che fa’, Marchionne ha poi spiegato che “serve un progetto condiviso, non posso accettare che tre persone mi blocchino un intero stabilimento, questa è anarchia non democrazia”. Parlando poi delle organizzazioni sindacali, riferendosi alla Fiom Cgil, Marchionne ha spiegato che “meno della metà dei nostri dipendenti appartiene a una sigla sindacale”. Dopo aver spiegato che “più della metà non è iscritta al sindacato”, Marchionne ha aggiunto che il 12,5% dei dipendenti è iscritto alla Fiom”. “A Pomigliano – ha aggiunto – non abbiamo tolto il minimo diritto, abbiamo cercato di assegnare la responsabilità della gestione di uno stabilimento ai sindacati per gestire insieme a loro le anomalie”. E ha poi aggiunto: “Quando il 50% dei dipendenti si dichiara ammalato in un giorno specifico dell’anno, vuol dire che c’é una anomalia”. Alla domanda sul giorno in cui avviene tale anomalia, Marchionne ha replicato: “Dipende da che partita c’é”.

SINDACATI A MARCHIONNE, PARLA COME FOSSE STRANIERO

(di Amalia Angotti)

Sergio Marchionne parla “come se la Fiat fosse una multinazionale straniera che deve decidere se investire in Italia”, attacca Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto della Fiom Nazionale. Anche gli altri sindacati, con sfumature e toni diversi, non apprezzano le parole dell’amministratore delegato della Fiat, intervistato da Fabio Fazio alla trasmissione ‘Che tempo che fa’. “Marchionne – dice Rocco Palombella, segretario generale della Uilm – deve evitare di continuare ad umiliare i lavoratori e il sindacato che si è assunto la responsabilità di gestire anche accordi difficili”.

Palombella invita il manager del Lingotto “a chiarire una volta per tutte quale sia la reale intenzione della Fiat. Se vuole davvero invertire il rapporto tra la quantità di auto prodotte all’estero e quelle fabbricate in Italia – osserva – deve smetterla di fare dichiarazioni che sono la negazione di ciò. Un gruppo industriale che chiede responsabilità e consenso non può continuare a dire che dell’Italia non sa che farsene. E’ un errore strategico”.

Per Bruno Vitali, responsabile Auto della Fim, “Marchionne deve credere di più nell’Italia e smettere di tenere tutti appesi. Ha sempre detto che qui perde, ma se investirà anche l’Italia genererà profitti come avveniva prima della crisi. Gli impianti sono nuovi e i lavoratori sono pronti a fare la loro parte”. Apprezzabile, sostiene Vitali, l’idea di monetizzare con aumenti salariali l’incremento di efficienza nelle fabbriche. “Io mi accontenterei che i lavoratori avessero il premio di risultato tagliato a luglio”, osserva Airaudo che critica l’idea che “competitività e produttività si recuperino intervenedo sul fattore lavoro”.

Il segretario della Fiom precisa che a Mirafiori non è già in vigore il sistema di pause di 3 pause di 10 minuti anziché quello di 2 da venti proposto per Pomigliano e Melfi. “E’ curioso comunque – ironizza – che in uno stabilimento che fa tre settimane di cassa integrazione al mese si considerino utili dieci minuti in più di produzione”.

SACCONI A MARCHIONNE, CAMBIAMENTO ITALIA GIA’ IN ATTO – “L’Italia è un Paese che già ha dimostrato l’attitudine ad evolvere verso una maggiore competitività nel rispetto dei diritti dei lavoratori incluso il diritto ad incrementi salariali legati a una maggiore produttività”. Così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, commenta le parole dell’amministratore della Fiat, Sergio Marchionne, ricordandogli che se “é legittimo da parte sua invocare maggiore produttivita”, è anche vero che “la maggioranza delle organizzazioni sindacali e le istituzioni si sono già rese concretamente disponibili ai necessari cambiamenti”.

“Marchionne – commenta Sacconi – ci ha ricordato che Fiat oggi è un Gruppo multinazionale con stabilimenti distribuiti in diverse dimensioni economiche e sociali. Noi ricordiamo a lui che l’Italia è il Paese di storico insediamento del Gruppo automobilistico ove ha depositato impianti e soprattutto un grande patrimonio di esperienze e professionalita”.

«La verità è che Marchionne vorrebbe andarsene dall´Italia. D´altra parte è lui stesso che continua a dirlo. Non a caso sostiene di non avere più debiti con il nostro paese. E´ come se si sentisse obbligato a stare qui da noi, mentre il gruppo è sempre più americano, forte in Brasile e negli Stati Uniti».
Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, ha appena visto la «prima» di Sergio Marchionne in televisione. E conferma, a caldo, che non gli piace più il manager italo-canadese che per un po´ agli occhi della sinistra era apparso come l´incarnazione di una nuova borghesia illuminata. Storia passata, archiviata. Oggi, agli occhi della Cgil, che insieme alla Fiom poco più di una settimana fa ha portato in piazza centinaia di migliaia di metalmeccanici proprio contro il «modello Pomigliano», Marchionne è il prototipo dell´imprenditore che scarica sui lavoratori colpe che non hanno. Un vecchio schema abusato, pre-globalizzazione, non proprio innovativo. Perché, al contrario – secondo Epifani – «il problema ormai è il Lingotto», o Marchionne, ma non gli operai.

Così la «vertenza Fiat» torna ad essere, come tante volte nel passato, uno spartiacque per le relazioni industriali. C´è un prima e ci sarà un dopo, ma saranno diversi, senza continuità. E – come sempre – ci saranno vincitori e sconfitti. Questa è la posta in gioco tra Torino e i sindacati. Per questo è una prova di forza. «E Marchionne – sostiene Epifani – è un grandissimo negoziatore».