(WSI) – Estate rovente per Fiat. Il Lingotto in versione global player rimane al centro dell’attenzione del mercato italiano e internazionale. La casa torinese, prima a rischio fallimento e oggi divenuta predatore di rango, compare però anche nella cronaca degli operai che temono il licenziamento e dei fornitori che lamentano ritardi nei pagamenti, nei conflitti politici tedeschi che capovolgono ogni giorno il futuro di Opel e nella giungla insidiosa della lotta per la sopravvivenza nel mercato globale dell’automobile.
Intanto la scadenza di 9,6 miliardi di euro di debiti finanziari entro l’anno suggerisce manovre forti sul debito, uno dei grossi problemi del gruppo. Il mercato ha accolto molto bene i bond di Eni e di Enel: questo suggerisce anche a gruppi patrimonialmente poco solidi come Fiat e Telecom Italia la via dell’emissione obbligazionaria. Fiat ha inoltre un merito di credito da junk bond (BB+ è il giudizio di S&P’s per esempio) e i credit default swap del Lingotto, ossia le assicurazioni contro il fallimento del gruppo, sono doppi o tripli rispetto a quelli di altre case europee: sembra dunque difficile che una eventuale emissione di obbligazioni assicuri rendimenti particolarmente bassi o in linea con gli altri corporate bond prezzati sul mercato. Più probabile che la cedola di eventuali bond da uno o due miliardi di euro si avvicini al 10% che al 5 per cento.
Nel frattempo, però, il calo della produzione in tutti gli impianti e il riassetto produttivo del gruppo rischiano di causare notevoli tensioni politiche e sociali. La probabile chiusura di stabilimenti come quello di Termini Imerese (Marchionne ha detto che non ha ragione di esistere e ha costi di logistica enormi) o di Imola (dove però si fanno le macchine della controllata Chn) causano già oggi proteste accese, blocchi delle autostrade, rimostranze sindacali a tutti livelli e tentativi preoccupati di mediazione politica. Il Cipe, per esempio, ha deciso di stanziare 300 milioni di euro per Pomigliano e per Termini Imerese. La Regione Sicilia ha inoltre promesso forti finanziamenti per la fabbrica isolana.
Nel frattempo l’ipotesi Opel, che potrebbe anche avere effetti positivi su tutto il sistema produttivo Fiat, si ravviva con la crisi dell’offerta Magna-Sberbank. Bussano alle porte di Berlino anche i cinesi di Baic e l’americano Ripplewood (tramite la controllata Rhj), ma l’ipotesi italiana rimane sul tavolo e appare ogni giorno che passa la più credibile.
Tanti tavoli insomma, forse troppi, per Marchionne e la promessa di portare a oltre 6 milioni di auto la produzione del gruppo anche se questo dovrà costare 10 mila licenziamenti. Un costo sociale eccessivo per la crescita di Fiat e l’idea di delocalizzare per abbattere i costi approfittando dell’ombrello della crisi potrebbero, però, diventare ostacoli seri per un gruppo che spesso ha avuto bisogno di interventi pubblici per sopravvivere.
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