(WSI) – La morte di Umberto Agnelli pone alla Fiat e all’impero di Torino una serie di problemi che non sarà facile risolvere. Per comprendere come stanno le cose conviene forse rifare un po’ di storia del gruppo e delle vicende che ha attraversato.
I due fratelli Agnelli, Gianni e Umberto, entrano in Fiat a metà degli anni Sessanta, quando Gianni (che è il capo famiglia) convince il professor Vittorio Valletta, che aveva diretto l’azienda fino a allora, a farsi da parte.
I due fratelli sbarcano in Fiat con Gianni nel ruolo di presidente e Umberto in quello di amministratore delegato. Su un piano meno formale, Gianni rappresenta la volontà della famiglia, tiene i contatti politici e internazionali, mette a punto le strategie. Umberto, invece, più “sedere di pietra”, si occupa delle cose di tutti i giorni, della gestione concreta dell’azienda.
I due fratelli si scontrano subito con una serie di difficoltà:
1 – L’azienda ha ormai raggiunto dimensioni internazionali (fabbrica due milioni di automobili all’anno), ma è organizzata come una qualsiasi aziendina familiare. Dovranno, con l’aiuto di consulenti internazionali, trasformarla in una moderna holding industriale. Questo lavoro richiederà dieci anni, con grandi scontri anche all’interno dell’azienda.
2 – I due fratelli sono da poco saliti al potere che subito si scontrano con l’autunno caldo, cioè con le rivendicazioni degli operai, con la rinascita sindacale e con il generale clima di contestazione che si respira nel paese.
3 – All’inizio degli anni Settanta, quindi, a nemmeno dieci anni dalla loro presa del potere, incappano nella prima crisi petrolifera, che ovviamente ha pesanti conseguenze sui conti della Fiat.
4 – Infine, devono fare i conti anche con il terrorismo, che ha nella Fiat uno dei suoi bersagli privilegiati.
Umberto lascia la Fiat
Il risultato è che alla fine degli anni Settanta il gruppo è a terra, in crisi di idee e di liquidità. Da Mediobanca Enrico Cuccia, che già aveva sistemato in Fiat Cesare Romiti (per tenere sotto controllo i conti) spiega che si può fare ancora uno sforzo per salvare la Fiat, ma Umberto deve farsi da parte e deve lasciare tutto il potere a Romiti, che gode della fiducia dello stesso Cuccia e delle banche finanziatrici. Gianni, invece, può rimanere al suo posto: è il simbolo e la bandiera degli Agnelli.
E’ così che Umberto esce dalla Fiat. Manterrà per un certo tempo alcune cariche onorifiche, ma niente di importante, soprattutto dopo alcuni scontri con Romiti sulla “qualità” dei bilanci Fiat.
Abbandonata la Fiat, Umberto si occupa della finanza di famiglia, in particolare dentro l’Ifil. E ottiene risultati molto buoni. Senza padrini e tutori, Umberto nella finanza dà prova di essere un uomo d’affari di grandi qualità e si conquista la fiducia del resto della famiglia.
Il ritorno di Umberto
Nel gennaio del 2003 muore Gianni Agnelli e la famiglia, compatta, si ritrova dietro Umberto, che viene nominato sul campo capo della famiglia e capo dell’impero (Fiat compresa). In quel momento, fra l’altro, il gruppo Fiat sta attraversando certamente il momento più brutto di tutta la sua storia, con perdite annuali che sfiorano i dieci mila miliardi di vecchie lire. Per evitare il peggio si impongono decisioni drastiche.
E Umberto è rapido, e sorprende tutti. Mentre dall’esterno aveva spiegato per anni che la Fiat doveva uscire dall’auto (considerata troppo poco redditizia e rischiosa) e concentrarsi sulle altre attività (assai più profittevoli), una volta al comando cambia idea e sostiene che il gruppo deve liberarsi di tutto e concentrarsi sull’auto, cioè sul mestiere vero della famiglia: fare automobili.
Convince la famiglia e la convince anche a mettere soldi freschi nel gruppo, cosa praticamente mai avvenuta.
La “cura Umberto” sembra aver avuto successo: nel giro di appena un anno le perdite sono state più che dimezzate. E quindi Umberto e gli Agnelli potevano guardare al futuro con una certa serenità.
Ma è proprio a questo punto, e a pochi giorni di distanza dall’assemblea Fiat che ha preso dei primi risultati positivi, che la morte coglie Umberto. Delle sue gravi condizioni di salute si sapeva da tempo, ma si pensava che avesse più tempo davanti a sé, almeno qualche anno. Invece, la morte è arrivata improvvisa nella sera del 27 maggio.
I problemi del dopo Umberto
I problemi del dopo Umberto sono parecchi, ma sostanzialmente si riducono a uno solo: riuscirà la famiglia Agnelli a esprimere un nuovo leader? Morto Gianni, più di un anno fa, c’era Umberto, che era sempre stato il cadetto di famiglia. Ma, morto Umberto, chi viene?
Sulla carta la successione è già stabilita: dovrebbe arrivare Jaki, il primo nipote dell’Avvocato, figlio di Margherita.
Ma il problema, ovviamente, non riguarda la successione formale. La questione vera consiste nel vedere se Jaki riuscirà a essere accettato come leader dalla famiglia. Si tratta di vedere, in sostanza, se in un momento così difficile la famiglia accetterà di essere guidata da un giovane come Jaki, che è entrato in azienda da pochissimo e con incarichi tutto sommato marginali. E a questo proposito va notato che gli azionisti sopravvissuti sono la figlia dell’Avvocato, Margherita, e poi tutte le sorelle dell’Avvocato, in pratica le zie di Jaki, tutte di una generazione prima della sua.
Esiste la possibilità, a questo punto, che la famiglia decida che i rischi sono troppi e quindi scelga di passare la mano.
I diversi scenari
Ma già a poche ore dalla morte di Umberto, si sono delineati alcuni scenari possibili, anche se diversi uno dall’altro:
1 – La famiglia potrebbe decidere di non fare assolutamente niente, salvo nominare l’attuale amministratore delegato Giuseppe Morchio anche nella carica di presidente. Oppure potrebbero nominare al posto di Umberto qualche grande e autorevole amico di famiglia, tipo l’avvocato Franz Grande Stevens. Nel 2005, quindi l’anno prossimo, le banche dovranno convertire un maxi-prestito Fiat in azioni della stessa Fiat e a quel punto i maggiori azionisti del gruppo industriale di Torino saranno loro. E loro saranno i problemi dell’auto.
2 – Potrebbero invece tentare di stare ancora in partita. E qui ci sono varie possibilità. La prima consiste nel richiamare a Torino, come presidente, quello che è stato per anni il più stretto collaboratore di Umberto e che oggi siede sulla poltrona di presidente di Mediobanca: Gabriele Galateri di Genola. Galateri ha certamente l’esperienza necessaria per farsi accettare dalla famiglia e per guidare la Fiat sul giusto sentiero.
3 – C’è un’altra via (che non esclude un eventuale richiamo di Galateri). Si tratta dell’ipotesi di fondere, in tempi abbastanza rapida, tutte le finanziarie di famiglia (accomandita, Ifi e Ifil) in un’unica struttura finanziaria. Struttura che, alla fine, potrebbe forse essere fusa con la stessa Fiat. A questo punto la famiglia, che oggi ha in mano soprattutto azioni dell’accomandita (non quotate e quindi invendibili) si troverebbe a pesare meno dentro la Fiat (o la futura finanziaria), ma a quel punto tutte le azioni in mano ai singoli membri della famiglia sarebbero quotate e quindi, chi vuole, le potrebbe vendere, tutte o in parte.
4 – Esiste poi una possibile variante di questo piano. Una volta fuse tutte le attività in Fiat, la famiglia potrebbe usare parte delle sue azioni per fare un patto di sindacato con le banche (che avrebbero intanto convertito i loro crediti in azioni). E rimarrebbe libera di disporre a piacere delle altre.
5 – E c’è l’ultima possibilità. Quando circa un anno fa Roberto Colaninno si fece avanti per “rilevare” insieme alla famiglia il gruppo torinese, a sbarrargli la strada fu soprattutto Umberto, che aveva, come poi si è visto, altri progetti. Le sorelle Agnelli, invece, e le banche, erano favorevoli all’arrivo di Colaninno.
Ma adesso Umberto è scomparso, il gruppo è un po’ allo sbando e Colaninno, che nel frattempo si sta occupando degli scooter della Piaggio, forse ha ancora voglia di tentare una carta Fiat. E quindi potrebbe ritornare sulla scena.
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