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Felicità italiana: crollata con il governo Monti

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Roma – Gli italiani sono sempre più depressi e infelici. Ce n’eravamo accorti confrontandoci con i nostri amici e familiari o leggendo le mail di chi chiede aiuto perché ha perso il lavoro ed è disposto a fare qualsiasi cosa pur di mantenersi a galla. Ma l’aspetto più preoccupante è che proprio in questi ultimi mesi la felicità dichiarata dalla popolazione non è mai stata a livelli così bassi dal dopoguerra. A rivelarlo è il libro Felici malgrado, curato dal sociologo Enrico Finzi per Ecomunicare, che ilfattoquotidiano.it ha ottenuto in esclusiva.

“Nel 2011-2012 la felicità dichiarata è caduta all’improvviso, coinvolgendo aree e soggetti prima solidi, sicuri”, si legge nello studio. “Una serie di onde sismiche ha cambiato il panorama sociale di colpo. Come nel 1917 il fronte ha ceduto di schianto, come una seconda rotta di Caporetto”.

Per capire l’entità del disastro basta leggere i primi numeri pubblicati nel testo del libro, elaborato in base a un serie di sondaggi di AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione composto complessivamente da 5.000 cittadini italiani dai 18 ai 74 anni.

Se fino al 2010, per decenni, la percentuale degli italiani che si definiscono felici è rimasta – di sondaggio in sondaggio – pressoché fissa attestandosi intorno al 39%, dall’inizio del 2011 tutto è saltato e il “termometro della felicità” ha cominciato a scendere sempre più velocemente: a metà 2012 gli infelici integrali sono aumentati dal 12% di due anni prima fino al 17%, mentre i davvero appagati dell’esistenza sono crollati dal 39% al 29%.

In meno di due anni l’area sociale connotata dalla piena gioia di vivere ha perso più di un quarto dei propri componenti in meno di due anni. Un fenomeno inedito e drammatico.

Se si passa poi alla percezione della condizione economica (personale e dei familiari) il dato è ancora più chiaro: all’inizio di luglio 2012 ben il 70% degli intervistati ha affermato che “le cose vanno male o malissimo”. Nel gennaio del 2010 la percentuale degli insoddisfatti del proprio tenore di vita era ancora minoritaria (48%): il passaggio dal lento calo al vero e proprio tracollo si è avviato nel giugno del 2011, quando la quota di contenti era pari al 55%.

Le cose non vanno meglio se si parla del futuro atteso. Gli italiani pessimisti sulle proprie prospettive a breve termine hanno superato il 61%: erano il 37% a inizio 2010. Come se non bastasse, secondo il 58% degli intervistati il quadro non migliorerà nei prossimi tre anni e il futuro risulta portatore di felicità solo per il 25% della popolazione.

“Ciò che preoccupa non è solo il peggioramento delle condizioni economiche quanto la fine della speranza, il senso di perdita prospettica”, spiega Enrico Finzi. “Si tratta di una novità radicale nella storia post-bellica”. I motivi principali dell’infelicità diffusa e del pessimismo sono noti: disoccupazione in aumento, inoccupazione dei giovani, ridimensionamento di redditi e risparmi, calo della protezione del welfare, aumento della pressione fiscale. Ma a pesare di più è “il furto di futuro” sofferto da una parte crescente degli italiani.

“Il risultato è la diffusione della depressione paralizzante appesantita da una sorta di spread psicologico, che ha esteso il divario di ottimismo tra l’Italia – in passato uno dei paesi meno pessimisti – e gli altri popoli, ad eccezione di greci e spagnoli”, continua Finzi.

L’infelicità del governo Monti

Un altro aspetto inedito rilevato dai sondaggi è la valutazione del governo Monti. All’inizio di settembre 2012 il rapporto tra chi lo considera “creatore della propria infelicità” e chi lo giudica felicitante era di quindici a uno: il peggiore della storia post-bellica conosciuta. “Sia ben chiaro, Mario Monti continua a godere dell’approvazione di un italiano su due. E’ il suo governo che genera insoddisfazione. Monti paga dazio per il suo team di ministri, che costituiscono una gigantesca macchina generatrice di infelicità senza precedenti”, spiega Enrico Finzi.

I tecnici sono messi all’indice perché avrebbero alterato il patto sociale senza considerare appieno le conseguenze drammatiche delle loro azioni. “Non si può dire a chi è a uno, due, tre anni dalla pensione che non può più andarci. Non si possono cambiare le regole dopo un’intera vita di lavoro”, continua Finzi. “Non a caso dopo il provvedimento Fornero la fascia di italiani che si ritengono maggiormente pessimisti e depressi è scivolata verso l’alto, dai 45-54enni ai 55-64enni”.

Dei tecnici hanno deluso, paradossalmente, proprio gli errori tecnici dei provvedimenti. “Solo per fare un esempio l’estensione a 60-90 giorni della pausa obbligatoria per i contratti a termine ha gettato le persone in uno stato di ancora maggiore precarietà e delusione”. Dai sondaggi sembra arrivare dagli italiani un “no” inequivocabile ai tecnici. Non solo perché si sarebbero dimostrati impreparati proprio sul loro terreno, ma anche perché è percepito in modo crescente il basso livello di democraticità delle loro scelte.

Un rinnovato impegno politico e sociale

Non è però il caso di abbandonarsi alla disperazione. Gli italiani, come hanno sempre dimostrato nella storia, continuano ad essere resilienti. Hanno una forte capacità di adattamento e proprio in un periodo di crisi come questo in cui ci si aspetterebbe un ritorno al tutti contro tutti, all’homo homini lupus di Hobbes, sono tornati con forza all’impegno politico e sociale.

“Quasi un italiano su due si impegna per migliorare la propria condizione e la tendenza è in netta crescita”, spiega Finzi. “Ci si impegna per migliorare la propria felicità nel privato, negli affetti, ma anche per aiutare il paese ad uscire dalla crisi: si stanno ritrovando le ragioni della solidarietà, della cooperazione e della responsabilità individuale”.

Se da una parte c’è una rabbia diffusa che è una pre-condizione per ondate di violenza incontrollata, dall’altra ci sono sempre più persone che “si impegnano per convogliare la delusione verso forme di reazione concrete alla crisi economica e politica e alla mancanza di leadership: lo si vede chiaramente nella militanza dei giovani moderati pro-Renzi o nell’attivismo del movimento 5 stelle”. L’Italia si trova su un crinale pericolosissimo: da un lato potrebbe cadere in modo disastroso e dell’altro si potrebbe riprendere, “ritrovando la via della politica”, che è chiamata ad intercettare e tradurre in precise scelte programmatiche l’ondata di impegno spontaneo che sta caratterizzando il Paese.

In tutto ciò un ruolo decisivo potrebbero averlo le donne che, in base a quanto si può leggere nel libro “Felici malgrado” emergono come “il vero nuovo soggetto di cambiamento”. Perché sono portatrici di valori, di equità, di care (inteso come preoccupazione per gli altri), leggono più libri, sono ormai appaiate agli uomini nell’uso di Internet e delle tecnologie e sono state molto meno coinvolte nei fenomeni di degenerazione che hanno affossato il nostro paese.

E in un panorama politico nel quale il centrodestra è in “uno stato di necrosi e non riesce, almeno fino ad oggi, ad elaborare un’offerta politica dal basso” mentre il centro “è solo classe dirigente che non è in grado di mobilitare la popolazione”, la sinistra si trova di fronte all’opportunità storica di uscire vincente dalle urne, offrendo una nuova immagine di futuro agli italiani.

“Perché il tema della disuguaglianza sociale, sentito dalla stragrande maggioranza della popolazione, fa parte del dna stesso della sinistra italiana”, spiega Finzi e perché in fin dei conti “il centro-sinistra è stato in parte complice della degenerazione del Paese ma con una grande differenza quantitativa rispetto alla destra, travolta dalla pornocleptocrazia del berlusconismo”.

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