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(WSI) – «Non credo che – a differenza di quanto accaduto all’inizio del secolo scorso – l’attuale processo di globalizzazione possa arrestarsi o fare passi indietro. All’inizio del ‘900 i Paesi europei erano guidati da monarchie o comunque da governi con un potere centrale fortissimo, gestito in modo insano. Oggi c’è un maggiore equilibrio tra ragioni della politica e dell’economica e il sistema è dominato da una vasta «constituency» di interessi favorevoli allo sviluppo della globalizzazione. Anche Stati Uniti e Cina, nonostante tutte le divergenze, hanno un forte interesse a non alimentare conflitti che potrebbero interrompere la loro crescita economica».
Frederick Smith di globalizzazione se ne intende, visto che è seduto su uno dei suoi motori più potenti: con i quasi 700 jet cargo della FedEx ha creato un sistema di trasporto veloce ed economico che ha demolito le barriere dello spazio e del tempo, il principale limite allo sviluppo dei commerci. Mezzi che hanno fatto venir meno anche l’ultima protezione di cui beneficiavano i produttori locali, che improvvisamente esposti alla concorrenza di aziende che operano negli angoli più remoti del mondo.
La globalizzazione vola sulle ali di Internet, la rete che innerva ormai tutti i continenti, e cammina sulle gambe dei sistemi di trasporto che l’Economist chiama l’«Internet fisico»: il container che negli ultimi 50 anni ha rivoluzionato il modo di veicolare le merci, abbattendo enormemente il costo delle spedizioni, e le grandi aerolinee cargo, in grado di consegnare qualunque prodotto in qualunque parte del mondo nel giro di due o, al massimo, tre giorni. I mercati principali si stanno spostando verso l’Asia, ma i giganti del settore restano occidentali: Dhl in Europa mentre negli Usa i padroni assoluti sono Ups e, appunto, FedEx.
La società guidata da Fred Smith, che è partito da zero poco più di trenta anni fa, è oggi la più grande compagnia aerea all-cargo, con 677 jet che volano in 375 aeroporti di oltre 200 Paesi. Un traffico enorme alimentato anche da una flotta di 70 mila camion.
Memphis, Tennessee
Lo spettacolo nella notte di Memphis è impressionante: tutte e tre le piste dell’aeroporto sono monopolizzate dai Boeing e dagli Airbus di FedEx che atterrano al rimo di 90 aerei l’ora in questo scalo che è il principale «hub» (centro di smistamento) della compagnia. Dalle 11 di sera alle 2 del mattino arrivano da ogni angolo d’America le merci che devono essere consegnate «overnight». Gli aerei vengono scaricati a tempo di record, tutti i pacchi vengono inghiottiti da una giungla di nastri trasportatori. Durante il percorso vengono riconosciuti (in base al loro codice a barre) e smistati automaticamente verso la loro destinazione finale. Alle 3 è tutto finito, oltre un milione di pacchi (ma nei periodi di punta, come la settimana di Natale, il volume può anche raddoppiare) sono avviati alla destinazione finale, gli aerei possono ripartire. All’alba l’aeroporto torna ad essere un normale scalo passeggeri.
Smith, che oggi ha 61 anni, dopo l’università e quattro anni passati nei «marines», fondò questa società che oggi ha un giro d’affari di circa 35 miliardi di dollari (28 miliardi di euro) e 260mila dipendenti e contrattisti sparsi per il mondo. Appassionato di storia, Smith spiega ai suoi interlocutori che, se Giulio Cesare fosse seduto nel suo ufficio, riconoscerebbe la struttura organizzativa FedEx, visto che l’ha inventata lui: «Cesare aveva un proconsole in Palestina, uno in Gallia, uno in Britannia. Ognuno di loro aveva sotto di sé un comando di cavalleria, una fanteria, gli arcieri e così via. Anche noi abbiamo i nostri proconsoli in giro per il mondo, da Hong Kong a Bruxelles. Sotto di loro c’è un manager che gestisce le tecnologie del sistema logistico, un capo del personale e un responsabile dell’unità di business. La struttura di un’impresa moderna è quella creata dai Romani».
In un mondo degli affari Usa popolato da manager pragmatici, orgogliosi della loro cultura degli affari appresa nelle grandi «business school» della costa atlantica, è curioso ascoltare questo tranquillo signore dell’Arkansas (comunque laureato a Yale), trapiantato in mezzo alle piantagioni di cotone del Tennessee (ci sono ancora, anche se la globalizzazione le sta pian piano soffocando) che ti descrive i peccati di neoprotezionismo europeo post Prima Guerra mondiale con le parole di Georges Clemenceau. E che spiega l’autonomia concessa alle aziende FedEx dei singoli Paesi citando Alessandro Magno: «Meglio vincere la pace che la guerra. Dopo la vittoria lui lasciava grande autorità ai capi dei Paesi conquistati. Una visione manageriale lungimirante che gli consentì di costruire il più vasto impero di quell’epoca. Anche noi, quando facciamo un’acquisizione, lasciamo grande autonomia ai dirigenti dell’azienda che abbiamo comprato e, in genere, scegliamo manager locali come capi FedEx in ogni area del mondo».
Interessato a tutto
Per la stessa natura internazionale del suo business, poi, Smith è portato a interessarsi della situazione politica ed economica dei vari Stati. E così, col giornalista italiano si mette a discutere degli effetti economici della crisi demografica del nostro Paese, dell’insostenibilità del sistema pensionistico. Ma né la gravità di questi problemi strutturali, né il declino industriale, né anni di involuzione del sistema politico lo rendono pessimista sul destino dell’Italia: «Quando parlo del suo Paese non dimentico mai che era il perno del commercio mondiale quando l’America era ancora soltanto un mucchio di sassi. Oggi siete in difficoltà, ma avete la cultura, lo spirito imprenditoriale e i mezzi per venirne fuori.
Ogni società, che si parli di Italia, Germania o di un altro Paese, deve fare le sue scelte basandosi sulla situazione politica interna ma, in ultima analisi, a decidere è l’economia. Guardi l’esperienza tedesca. Tre anni fa tutti, in Germania, prevedevano la catastrofe. Poi sono state fatte alcune riforme, sono stati riformulati i contratti di lavoro, il sistema è divenuto più flessibile. Molti impianti sono stati spostati nell’Est europeo e perfino in Spagna. Oggi le esportazioni esplodono e il reddito nazionale cresce di nuovo: è stata dura, ma ce l’hanno fatta. E poi non bisogna essere troppo dogmatici: le regole astratte sono una cosa, la realtà può essere in parte differente. Nessun Paese al mondo è riuscito a dimostrare, come ha fatto fin qui l’Italia, che si può vivere una vita migliore e più prospera anche a dispetto di un governo che funziona male».
Ma, per farcela, bisogna prendere atto che viviamo in un mondo diverso, bisogna essere consapevoli della velocità del cambiamento. E della sua probabile irreversibilità.
Su questo Smith non ha dubbi: «Quando qualcuno dice che l’apertura ai commerci è un processo reversibile, che gli Stati possono sempre alzare barriere, rispondo con una domanda. Qual è la seconda lingua più parlata in Canada? Il francese, mi rispondono tutti. E invece no: è il mandarino dei cinesi. Certo, le dispute politiche e commerciali continuano. Si va in battaglia per l’agricoltura, i servizi finanziari, la tutela della proprietà intellettuale, i prodotti tessili. Ma non sentirà mai nessuno dire che bisogna bloccare l’elettronica della Sanyo o che gli aerei brasiliani dell’Embraer non devono entrare nelle flotte africane».
Ovviamente la convinzione e l’entusiasmo del capo della FedEx sono direttamente proporzionali allo sviluppo dell’attività della sua azienda. Se si escludono petrolio e prodotti agricoli, oggi gli aerei delle compagnia cargo trasportano la metà delle merci che viaggiano nel mondo. Ogni giorno FedEx consegna sei milioni di pacchi. Secondo Smith è una rivoluzione inarrestabile, alimentata proprio dai sistemi di trasporto veloce, uno strumento mai esistito in nessuna epoca storica. Oggi circa il 30 per cento delle merci viene rilavorato in un Paese terzo prima di raggiungere il suo mercato finale.
Questa percentuale è destinata a salire fino al 70 per cento, secondo i più importanti studi internazionali, proprio grazie alla facilità di accesso ai nuovi canali di trasporto. «Siamo i clipper del nuovo millennio» commenta Smith. Non è un caso che il manager citi le navi cargo veloci che nell’800 e ancora all’inizio del secolo scorso attraversavano soprattutto il Pacifico. In molti uffici FedEx la mappa del mondo appesa alle pareti non è più quella con l’Atlantico al centro e l’Estremo Oriente riprodotto, appunto, sull’estremità destra della carta: ora in mezzo c’è il Pacifico, a destra le Americhe, a sinistra Cina e Giappone. L’Europa la trovate nell’ultimo lembo, in alto a sinistra.
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