La banca centrale americana si appresta a varare la quindicesima stretta monetaria consecutiva, la prima sotto la guida del neogovernatore Ben Bernanke, che ha preso il posto di Alan Greenspan a fine gennaio scorso. Ma al tempo stesso l’era Bernanke si apre nel segno dell’incertezza sulle mosse future della Federal Reserve: in altre parole, se proseguirà o meno il graduale giro di vite sui tassi di interesse.
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Da tempo si dà praticamente per scontato che nella riunione di lunedì e martedì prossimi del Federal Open Market Committee della Fed il costo del denaro verrà innalzato di un quarto di punto, al 4,75% dall’attuale 4,50%. Regna invece forte incertezza sulla strategia futura della Fed tenuto conto che, soprattutto nelle ultime settimane, si sono affacciati dati contrastanti sulla congiuntura statunitense che hanno alimentato i dubbi sulla effettiva sostenibilità del ritmo di crescita dell’economia a stelle e strisce. L’ultima doccia fredda è arrivata venerdì scorso, quando il crollo dell’attività di compravendita di case nuove (-10,5% a febbraio, il calo più marcato dal ’97) ha reso palpabile il rischio di uno scoppio della bolla immobiliare, peraltro piu’ volte paventato proprio dall’ex numero uno della Fed, Alan Greenspan. Quanto basta per far intravedere al mercato la possibilità di un ammorbidimento della manovra restrittiva sul credito. Finora – in un quadro di miglioramento occupazionale di crescita dei redditi e della produttività e con un’ inflazione che non desta eccessive preoccupazioni nonostante la pressione dei prezzi energetici – le previsioni degli economisti si sono tradotte in una alternanza di supposizioni: un giorno dando credito all’ipotesi di una imminente conclusione del ciclo rialzista – che va avanti ormai da venti mesi – con tassi non superiori al 5% a fine anno, e l’altro scommettendo su una ulteriore prosecuzione della manovra restrittiva, con i Fed Funds al 5% già a maggio per poi chiudere il 2006 al 5,25%. Gli occhi sono dunque puntati sul comunicato che tradizionalmente accompagna le decisioni di politica monetaria della Fed, nel tentativo di cogliere indizi che possano, se non sciogliere il rebus sul futuro dei tassi, quantomeno chiarire la visione che la banca centrale Usa attualmente ha del quadro generale dell’economia e trarne le debite deduzioni. Resta poi da vedere se Bernanke, come promesso, abbandonerà il linguaggio prudentemente criptico che sinora ha contraddistinto i comunicati del Fomc elargendo al mercato un messaggio più esplicito sui suoi intendimenti futuri. Nell’attesa, sembra prevalere l’ipotesi di al massimo altri due ritocchi all’insù: il rischio bolla immobiliare – per quanto nei giorni scorsi Bernanke abbia assicurato che un rallentamento del settore non dovrebbe compromettere la crescita Usa – rappresenta un serio pericolo per la tenuta dei consumi degli americani, che incidono per i due terzi sul Pil nazionale. A febbraio si è già registrato un calo dei prezzi delle case e, in prospettiva, un’ ulteriore frenata del mercato immobiliare rischia di colpire il potere di acquisto, tenuto conto che gli americani sostengono il proprio tenore di vita con il meccanismo del rifinanziamento dei mutui sulla casa. Il tutto, per di più, aggravato da un contesto di rincaro del costo del credito.