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Fecondazione eterologa: domani decide la Corte Costituzionale

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Roma – Torna martedì in aula, alla Corte Costituzionale, la legge sulla fecondazione assistita con uno dei divieti più controversi, quello della fecondazione eterologa. Pratica obbligata quando uno dei partner non può neanche concepire ed è sterile. In Italia i medici che la praticano sono punibili con una multa dai 300 mila ai 600 mila euro e se la coppia è omosessuale o la donna è singola si aggiunge la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio della professione.

Nel 2009, la legge 40 ha già subito correzioni con la penna rossa da parte della Corte, quando la sentenza numero 151 ripristinò il principio costituzionale della equità e della ragionevolezza: nessuna norma può obbligare il medico a curare allo stesso modo donne diverse. Fu cancellato così l’obbligo di trasferire tutti gli embrioni in un unico impianto ed il divieto di congelarli per ripetere a distanza di tempo e al momento opportuno i transfer, magari per avere anche più di un figlio senza dover ricominciare daccapo.

Oggi, la partita per cancellare il divieto di eterologa appare più complicata per la valenza politica, attribuita da sempre ad un argomento che si ripete: la paura di alterare l’idea di famiglia. Il quadro può cambiare solo se si riconduce nei binari della razionalità e della coerenza alla nostra Costituzione.

Lo conferma Pietro Rescigno, uno dei padri del diritto civile italiano che sarà in aula a patrocinare le ragioni della incostituzionalità del divieto: «Ci sono incongruità evidenti: il legislatore tutela i figli concepiti all’estero da donatori estranei alla coppia, ma in Italia ne vieta la pratica, favorendo i viaggi della speranza».

Confutabile, secondo il civilista, anche l’argomento secondo il quale lo Stato non voglia favorire la formazione di ‘famiglie asimettriche’, dove solo uno dei due genitori è biologico. «Tesi che confliggerebbe in modo evidente con la realtà sociale della famiglia di oggi e con l’istituto nobile dell’adozione», incalza il professore.

Ovociti e spermatozoi solo della coppia, eterosessuale, sposata o convivente si era gridato forte in Commissione Affari sociali, in una concitata mattina del 1998, quando l’emendamento contro la fecondazione eterologa passò, grazie alla sfida del medico leghista Alessandro Cè contro la diessina Marida Bolognesi, presidente di quella Commissione. Ed il 29 maggio 1999, in Aula, alla Camera dei deputati, in pochi minuti e a scrutinio segreto si confermò la disfatta sull’eterologa, che nelle legislature successive non trovò più la sua occasione di rivincita, anche perchè il referendum che ne chiese l’abrogazione nel 2005 fu invalidato perchè non raggiunse il quorum.

Nel nome dei possibili danni all’integrità genetica, psicologica e fisica del bambino, nonchè al suo diritto a conoscere le origini, si argomentò per anni il divieto, anche se l’Italia è l’unico Paese europeo a pensarla così. Le fanno compagnia, nel mondo, solo la Turchia, l’Egitto e l’Arabia Saudita. Nel codice etico della Federazione degli ordini dei medici, la Fnomceo, il divieto di fecondazione eterologa non ha mai fatto ingresso, perchè non è considerata una pratica dannosa per la salute.
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Martedì mattina, la Consulta discuterà le tre ordinanze di rinvio dei tribunali civili di Milano, Firenze e Catania, con cui si è segnalato che la Costituzione è stata violata, «ed il fatto stesso che le ordinanze siano state accolte per la discussione è già una prova della non manifesta infondatezza del quesito», commenta l’avvocato Baldini, del foro di Firenze, uno dei dieci legali che ha predisposto le memorie per l’aula. Giunti da tutta Italia, gli avvocati, ognuno per la propria istanza di ricorso, sono stati riuniti in un’unica udienza proprio per l’omogeneità dei quesiti. Presenti, tra gli altri, anche Maria Paola Costantini, Giandomenico Caizza, Filomena Gallo e Nello Papandrea.

«Gli argomenti», commenta la costituzionalista Marilisa D’Amico , «dovranno attenersi ai casi specifici ciati nei ricorsi, dunque alla discriminazione verso le coppie eterosessuali, sposate o conviventi, che la legge 40 fa accedere alle tecniche, ma non a tutte quelle potenzialmente disponibili. Il punto giuridico è che di fatto si discrimina in base al grado di infertilità. Chi è più grave, perchè sterile deve andare all’estero. Questo è irragionevole e non solo nega il diritto di risolvere un problema di salute, ma le finalità stesse della legge 40. Infine, espone le donne italiane a gravi rischi per la salute. All’estero, in alcuni paesi i donatori non sono controllati, la donna ed il nascituro possono contrarre malattie. Oltre al danno, anche la beffa», conclude D’Amico.

A conti fatti, nella cabala dei numeri della nostra Costituzione, gli articoli violati, secondo gli avvocati sono il 2, il 3, il 31 e il 32 senza sporgere lo sguardo verso l’Europa, ai diritti fondamentali della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo: al libero sviluppo della personalità, in cui il progetto di maternità e di famiglia rientrerebbe di diritto.

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