(WSI) – Tutti pazzi per i bond: sia per le convertibili, tappa intermedia verso l’equity sia per i corporate, per lungo tempo sogno proibito del retail, scottato dalla stagione di Cirio e Parmalat.
Altri tempi. Il «muro» è caduto, almeno per gli emittenti di rango. I volumi delle emissioni da gennaio hanno già superato quelli degli ultimi due anni. E dopo la prima ondata per gli istituzionali, è partita la nouvelle vague dei piccoli risparmiatori, che apprezzano cedole più grasse di Bot e Btp. Basta vedere l’accoglienza riservata nei giorni scorsi alle obbligazioni Eni (Fitch ha confermato AA- sul debito).
Molte blue chips italiane sono già al lavoro. I nomi delle possibili candidate non si sprecano: Telecom Italia, Enel, Generali, Atlantia ed Edison. E proprio la corsa ai bond del Cane a sei zampe fa capire che il trend promette di esser ben più di una moda passeggera. Il gruppo guidato da Paolo Scaroni ha avviato il collocamento lunedì 15 con l’obiettivo di raccogliere almeno 1 miliardo di euro: giovedì 18 le richieste hanno sfiorato i 4 miliardi e l’aver alzato l’asticella dell’offerta, fino a 2 miliardi, non ha evitato la strada del riparto.
Nel frattempo, in attesa di bussare al portafoglio dei privati, le corporations del Vecchio Continente sfruttano la congiuntura: la minor pressione delle banche sul mercato obbligazionario, combinato con i rendimenti modesti dei sovereign (e la bassa propensione al rischio della domanda) ha offerto, sia in Europa che sul mercato Usa, una finestra di opportunità per le società che, di questi tempi, non sono in condizioni di bussare all’azionario.
Uno dei casi di scuola della settimana è senz’altro Telecom Italia, che lunedì 15 ha avviato il collocamento della sua quarta emissione da inizio anno: un bond da 2 miliardi di dollari per il mercato americano, prezzato nel giro di un giorno. Mercoledì 16 è stata la volta di Edf, con un’emissione per il retail da 1 miliardo di euro: una cifra del genere i piccoli risparmiatori francesi non la vedevano dagli anni Ottanta.
L’euforia è proseguita anche il giorno seguente, con il ritorno sul mercato, dopo mesi di assenza, del «junk»: ad avviare la procedura di consenso dei creditori, per un maxi-bond da 2,7 miliardi di euro, è stata Wind, su cui Fitch ha prontamente annunciato però un rating watch negativo. Lo stesso giorno Campari, ha messo a segno un private placement da 250 milioni di dollari. Mentre Unicredit, secondo alcuni rumors, avrebbe già terminato il road show per un emissione di covered bond per l’importo di 1 miliardo di euro. Insomma, una vera e propria valanga di offerte, in Italia come all’estero.
«Ogni giorno – spiega Tommaso Federici, gestore di Banca Ifigest – c’è un emissione. All’inizio dell’anno eravamo tra i pochi a partecipare alle aste, ora c’è la corsa e il riparto è inevitabile». Ma cosa è successo nel frattempo? «Notiamo il ritorno a una certa propensione al rischio da parte degli investitori – aggiunge – certamente incoraggiati dall’andamento positivo dei mercati».
Due dunque le ragioni: da una parte l’offerta delle imprese che, in difficoltà ad accedere alle linee di credito bancario, sono costrette ad emettere nuovo debito per rifinanziarsi. Dall’altra, la domanda degli investitori, frutto anche della ripresa dei mercati azionari, che si stanno spostando dai titoli più granitici a quelli dal rating meno pregiato.
L’andamento dei rendimenti lo dimostra: a gennaio un bond con rating tripla A offriva un premio di 176 pb rispetto ai titoli governativi, oggi il premio è di 90. Il rendimento dei titoli a tripla B ha cominciato a scendere solo a fine febbraio, passando da 605 pb agli attuali 431.
Secondo gli operatori ci sarà spazio per un’ulteriore contrazione: «La riduzione degli spread è il riflesso di un processo di assorbimento del rischio – spiega Francesca Ciaramidara, gestore Zenit Obbligazionario — quando le società sono tornate ad emettere debito, alla fine dello scorso anno, i rendimenti erano più che remunerativi rispetto a quello che evidenziavano i Cds. Le società offrivano cioè un premio aggiuntivo per incentivare il mercato».
E il mercato ha risposto, abbandonando i più «sicuri» titoli di Stato, a favore di azionario e obbligazionario corporate. Che la percezione del rischio si sia ridotta emerge dall’andamento dell’Itraxx Europe Index, l’indice che raccoglie i credit default swap (cds) di 125 blue chips europee: se lo scorso 9 marzo (giorno dei minimi toccati dalle Borse) erano necessari 226 euro per garantire un bond da 1000 euro dall’eventualità di default, oggi ne bastano 138 euro.
Così la crescente domanda di bond ha riportato i rendimenti verso i fondamentali, ma gli esperti concordano sul fatto che esiste ancora un margine di extra-rendimento, che rende l’obbligazione corporate particolarmente appetibile per il piccolo risparmiatore.
A due condizioni, però: «diversificare il portafoglio e stare attenti al rendimento – spiega Rocco Bove, Credit Portfolio Manager Prima Sgr – questo perché in passato gli yield offerti al retail sono stati meno generosi di quelli offerti agli istituzionali, più attenti al confronto con i rendimenti di mercato e in possesso di maggiori strumenti di valutazione. Per questo motivo è importante che l’investitore non si fermi al livello assoluto di rendimento, ma che verifichi che il tasso offerto sia in linea con quello di emissioni analoghe».
In ogni caso, il ritorno del corporate è certamente un buon segnale. Tradizionalmente, infatti, il rafforzamento del mercato del credito preannuncia una ripresa strutturale e duratura dei mercati: «È vero che la domanda verso questo tipo di prodotto è stata incoraggiata dal rialzo dei listini di marzo, ma in un’ottica di lungo termine è vero il contrario – aggiunge Bove – e cioè che dopo una crisi il primo mercato a rafforzarsi è quello del credito.
Le aziende hanno infatti bisogno di liquidità per sopravvivere e investire e quindi continuare a generare valore per i propri azionisti. Senza credito, insomma, non c’è ripresa stabile dell’equity. La corsa ai titoli obbligazionari di queste settimane può essere considerata l’inizio della ripresa del ciclo economico».
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