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FAZIO, PASTICCIO ALL’ITALIANA

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(WSI) – Come in ogni teatro anche in quello della politica italiana esistono il proscenio e le quinte. Sul proscenio gli attori declamano i grandi principi della democrazia, delle virtù civili, dell’integrità morale. Nelle quinte, negoziano.

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Non sappiamo se le trattative sul caso Fazio siano già cominciate. Ma non occorrono conferme ufficiali per sapere che un uomo pubblico controverso, nel momento in cui si appresta a lasciare l’incarico, può spesso negoziare la sua partenza. E allora, per ottenere lo scopo, occorre addolcire la medicina con qualche accorgimento, permettergli di scegliere l’epoca che più gli conviene, prospettargli una collocazione futura, conferirgli qualche onore e, nei casi più venali, tener conto delle sue esigenze economiche.

Vi sono circostanze in cui queste trattative rispondono a una sorta di galateo delle buone maniere. Quanti uomini politici inglesi sono stati incoraggiati ad andarsene con un vitalizio alla Camera dei Lord o qualche oscuro incarico protocollare? Ma in Italia, all’origine di queste trattative, vi sono sovente ragioni meno confessabili. Si negozia perché il partente ha contratto, durante l’esercizio delle sue funzioni, alcuni crediti e ha il diritto di esigerne il pagamento.

Non so se questo valga anche per Antonio Fazio. Ma non posso dimenticare che in questi ultimi anni il Governatore della Banca d’Italia è stato adulato, corteggiato, sommerso da una cascata di onori accademici. La sua relazione annuale era un «discorso della Corona», ascoltato religiosamente da tutti i baroni politici ed economici della Repubblica. Le sue lezioni magistrali erano approvate, talvolta criticate, ma sempre commentate con deferenza.

Mentre Alan Greenspan ha conquistato il suo prestigio parlando per dichiarazioni brevi ed essenziali, Fazio ha pronunciato allocuzioni, impartito ammaestramenti, spiegato ai governi quali fossero le politiche più opportune per la soluzione dei problemi del Paese. Ma nessun uomo politico, della maggioranza o dell’opposizione, ha osservato che il Governatore della Banca centrale non è il confessore economico della nazione o il superministro dell’Economia italiana. Nessuno ha avuto il coraggio di ricordargli che i suoi compiti erano precisamente delimitati, che le sue escursioni erano inopportune e irresponsabili, che il silenzio avrebbe giovato alla sua autorità.

Tutti hanno continuato a pendere dalle sue labbra e a sperare di trovare nelle sue parole la benedizione di cui avevano bisogno.
Il caso Fazio non è isolato. Questi debiti e questi crediti si accendono ogniqualvolta la classe politica chiede ai titolari delle istituzioni ciò che non ha il diritto di chiedere. E diventano visibili agli occhi dell’opinione pubblica quando l’«organo di controllo» (il governo, un ministro, il parlamento) non interviene rapidamente per richiamare all’ordine, esonerare dall’incarico o, come sarebbe dovuto accadere nel caso Fazio, manifestare pubblica sfiducia.

Quando i responsabili del controllo non fanno il loro mestiere i guasti sono almeno tre. In primo luogo i confini di una istituzione diventano vaghi, imprecisi, facilmente adattabili alle convenienze e alle circostanze. In secondo luogo il titolare dell’istituzione finisce per ritenersi autorizzato a esercitare le sue funzioni con una discrezionalità che può rasentare la licenza. E in terzo luogo infine la «rescissione del contratto» non è mai semplice, netta, trasparente; come, per l’appunto, nel caso di Antonio Fazio.

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