Società

FAZIO, NO
ALL’ USCITA
PER PROCURA

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Paolo Madron e’ il Direttore di Panorama Economy.

Licenziato per Procura (della Repubblica)? A noi che siamo considerati suoi arcinemici spiacerebbe assai che
Antonio Fazio dovesse inciampare sulla via giudiziaria. Un rischio che,
del resto, avevamo paventato in tempi non sospetti, prima cioè che il
magistrato di Trani, in dispregio del santuario di via Nazionale, osasse
«avvisarne» il gran sacerdote. Se la politica non agisce – e la nostra
critica al ddl sul Risparmio lamentava, tra le altre cose, le lungaggini
dell’iter parlamentare di approvazione – le Procure dilagano, non
importa se obbedendo anche a protagonismo e spirito di emulazione. Quando qualcuno lascia spazio, inevitabilmente qualcun altro lo occupa.

Ma dopo Bipop, Cirio, Parmalat e Banca 121, senza scomodare i tribunali,
ce n’era abbastanza per considerare il banchiere ciociaro inadempiente
al suo mestiere di vigilante. Dieci anni fa, lo scandalo era quello
della Bcci, il governatore della Banca d’Inghilterra se ne andò per
molto meno, e senza il fiato sul collo di qualche toga a spingere perché
si facesse da parte. Come se non bastasse, Fazio ci ha aggiunto del suo,
mischiando arroganza («Pera chi?») a desolante candore («I risparmiatori
gabbati? Una percentuale risibile»). E accentuando al contempo la sua
metamorfosi in governAttore.

Decine di interventi fatti non sui temi di
pertinenza, ma con la preoccupazione di chi bada a tenere saldamente il
centro della scena, l’occhio e il pensiero fisso altrove, a quella
discesa in politica di cui si erano resi protagonisti alcuni suoi
predecessori.
Se lo avesse fatto smettendo i panni del banchiere centrale, nessuno
avrebbe avuto nulla da ridire. Invece lui deve aver pensato che
Bankitalia fosse un trampolino da sfruttare sino all’ultimo, e che la
bancarizzazione della grande industria ne avrebbe accentuato a dismisura
ruolo e discrezionalità dei poteri. Al punto che, di fronte alla
litigiosità della maggioranza e al ventre molle dell’opposizione, la sua
sarebbe stata una sorta di chiamata plebiscitaria da parte dei
sempiterni tifosi della soluzione istituzional-tecnocratica, capace di
arginare l’inanità dei politici di professione.

Ma non tutte le
ciambelle riescono col buco, anche se qui verrebbe da dire che è stato
proprio il buco creatosi nelle tasche dei risparmiatori a minare le
ambizioni di Fazio. Il quale, invece che prenderne realisticamente atto,
non ha smesso i panni del governAttore ma ha rilanciato la sfida cadendo
nella sindrome tipica di chi confonde la platea col palcoscenico, in un
pernicioso sussulto di autoreferenzialità. Che dall’esterno si è
trasmesso anche all’interno, col risultato che il granitico monolitismo
di via Nazionale ha cominciato a mostrare vistose crepe, con tutto il
personale a rumoreggiare malmostoso sulle future nomine. Contestato
dentro e fuori, il governAttore ostenta grande tranquillità, come se
tutto dovesse risolversi in una bolla di sapone. Forse perché il partito
trasversale dei suoi adepti non deflette, a destra come a sinistra. Dove
si continua a confondere, drammatico errore, l’ autonomia
dell’istituzione con l’infallibilità dell’uomo che la guida.

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