Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Per Antonio Fazio, che è forse l´ultima lucciola di Pasolini, è il residuo premoderno del mondo di Olmi, quello contadino della montagna abruzzese, sarebbe assurdo, ingiusto e persino inutile dare le dimissioni, che per noi sarebbero invece il gesto di grandezza del funzionario moderno, l´ultimo ossequio del laico per salvare il profilo dell´Istituzione dalla propria inadeguatezza, non importa se consapevole; l´estremo atto di decenza e di eleganza.
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Ma nel codice schietto e rude del montanaro cattolico Fazio la soluzione elegante è un lusso impraticabile, una sorta di cicisbeismo, un atto inessenziale, un tradimento a San Tommaso e al luogo natio, ai pomodori dell´orto e alla penna che sempre gli sbuca fuori dal taschino, agli spaghetti marsicani e alla casetta di pietra dove è cresciuto, da figlio di contadino, e a quell´altra casetta gemella dove è cresciuta lei, Maria Cristina, figlia del falegname di Alvito.
L´eleganza delle dimissioni sarebbe una traccia della perdizione e perciò una definitiva ammissione di colpa per un banchiere che nell´ideale carta d´identità non ha scritto “banchiere” ma “devoto”, che tratta il danaro con categorie religiose, danaro che per noi è maltrattato, mentre per lui, iperreligioso nel regno di mammona, è tenuto a freno, è pensato come una tentazione, è fronteggiato.
Fazio infatti rimane lì, come il Lancillotto del cattolicesimo, della famiglia, della moglie, del sacramento, come il Sant´Antonio di Flaubert che raccoglieva la sfida del diavolo con la spavalderia del santo.
Dunque Fazio non darà le dimissioni finché non sarà formalmente costretto.
E più gliele chiederanno e più si intestardirà nel suo arroccamento lucciolesco che farebbe simpatia a Pasolini. Le dimissioni ci spiazzerebbero, ci arriverebbero come uno schiaffo perché orgogliosamente rilancerebbero, come inattuale e doloroso, quel suo universo che abbiamo sbeffeggiato, renderebbero monumentali i valori che abbiamo denigrato come valori fuori tempo e fuori posto in Banca d´Italia dove alle mogli dei funzionari, per antica tradizione, non è permesso andare, neppure per le feste di pensionamento, neppure per la bicchierata di fine anno.
Noi, che non siamo lucciole, pensiamo che mai i sentimenti primari dovrebbero governare le istituzioni. Per una lucciola pasoliniana invece anche le istituzioni più alte sono ancelle: della devozione maritale per la moglie meridionale che in Italia è sempre una Santippe; del familismo debordante, iperattivo e iperprotettivo verso i figli e gli amici dei figli che lo spinge a trafficare con i telefonini “protetti” di Fiorani e a usare la porta di servizio, sentendosi sempre perfettamente a posto con la coscienza come quando passeggia per le strade di Alvito tenendo per mano, come fossero eternamente bambine, ora l´una ora l´altra figlia, tutte adulte e tutte di nome “Maria”: Anna Maria, Maria Valeria, Maria Laura, Maria Eugenia. Eppure l´onomastica cristiana è vastissima e fantasiosa. Davvero è come se un islamico chiamasse tutti i figli Maometto, per onomastica votiva e devozionale.
Ci pare dunque normale che, a furia di sfidare il diavolo, una ragazza sensibile finisca col pensare infernale questo mondo e col farsi suora, come sta appunto accadendo alla penultima dei Fazio, e come, del resto, in Italia era già accaduto, con simboli ben diversi, a tanti rampolli dei compagni comunisti che, a furia di fare Resistenza, finirono o accanto o dentro le Br.
Naturalmente e con evidenza le dolci suore non possono essere confuse con i fanatici, e noi non abbiamo alcuna ostilità preconcetta per chi sceglie la vita dell´ascesi monacale, ma non ci sembra oltraggioso ritenere che la vocazione di Maria Laura ancora più che di suo padre sia figlia di quei libri che il padre, durante i viaggi di lavoro, leggeva in aereo e mostrava con discrezione compiaciuta a noi cronisti.
Ricordiamo, per esempio, che, in volo verso Basilea, Fazio spulciava “La storia del monachesimo” mettendo addirittura in imbarazzo una bravissima giornalista che, senza mai perderlo di vista, leggeva “Petrolio” di Pasolini. «In che lettura è immersa, signora?». E quella: «Petrolio». Subito Fazio cadde nell´equivoco: «Ah, brava!, legge Petronio». E la cronista, con ironia: «Sì, Petronio l´arbitro».
In realtà neppure Petronio è lettura da tomista, però è meno eretico di Petrolio e soprattutto è latino, o forse latinorum. Di Fazio si dice, come si diceva già di Cuccia, che parla il latino, che conversa in latino con il tomista padre Roberto Busa, e con il cardinale Georges Cottier, “capo” dei domenicani e teologo della casa pontificia. Padre Busa, con l´appoggio attivo di Fazio, ha informatizzato l´opera di San Tommaso, 9 milioni di parole in un dischetto che Busa e Fazio hanno presentato al Santo Padre in una memorabile udienza del marzo 2002, che è stata registrata e che la famiglia Fazio ogni tanto rivede, nelle sere d´inverno. E padre Busa, sempre con la sponsorizzazione di Fazio, ha pure brevettato un progetto di traduzione simultanea ragionata del linguaggio teologico per evitare quell´automatismo che una volta, sotto i loro esterrefatti occhi, partì dalla frase «lo spirito è forte, ma la carne è debole», facendola diventare in russo «la vodka è buona, ma la bistecca è avariata».
Fazio, dopo gli studi di ragioneria, si è laureato in Economia e dunque il latino è per lui una passione da autodidatta, una “rosa rosae” da adulto, postlaurea e perciò, con tutto il rispetto, non si può dire che il latino e san Tommaso siano il cacio sui suoi maccheroni. Ma forse sarebbe ora che noi giornalisti prendessimo “multo cum grano salis” queste improvvise passioni umanistiche, sempre accreditate e mai controllate, dei banchieri italiani, da Mattioli sino a Fazio.
Abbiamo infatti il sospetto che sotto ci sia una voglia matta di creare il fenomeno, di ingentilire l´anima dannata del danaro, della transazione finanziaria e dell´investimento in borsa; la voglia di abbellire l´icona tradizionale, tanto cattolica quanto brechtiana, del banchiere con la pancia, il sigaro e la scopa per spazzare il mondo. Del resto anche gli improbabili libri dei politici in Italia vengono recensiti e premiati quali capolavori di profondissima cultura. Secondo noi, è come parlare di Moana Pozzi vergine o di Rasputin gay.
È come il “piano man” che noi giornalisti volevamo angelo della musica e che invece non sa neppure strimpellare. Eppure tutti esaltano la bibliofilia di Dell´Utri e la bibliografia di chiunque finisca in galera. Ma forse questo abuso del mito di Robin Hood è solo il prezzo che il vizio paga alla virtù o, al contrario, che la virtù paga al vizio.
Comunque sia, senza volere fare l´esame di latino a Fazio, questo suo celebrato tomismo non può certamente essere specialistico perché comporterebbe una dedizione esclusiva, fatta di seminari, laboratori, studenti, colleghi, polemiche, didattica, cattedre e concorsi. Oppure avrebbe bisogno di una segregazione chiostrale, di un impegno totale in evidente conflitto con la famiglia, con la Banca d´Italia, con l´enorme mole di lavoro di un governatore centrale. Il suo tomismo, dunque, per quanto approfondito, è certamente coltivato nei tempi morti, come un “late comer” dell´economia, con affanno e strategie di scorciatoia. Già il latino medievale è un valore da lucciola pasoliniana, il ritorno a una realtà dissolta, ma è lucciola soprattutto l´idea che il tomismo possa avere ragione del mondo moderno.
Ovviamente tra i valori primari di una lucciola pasoliniana che balugina in banca c´è anche la raccomandazione coltivata con l´ingenuità rocciosa dell´amicizia che, insieme all´affetto coniugale, è il valore che lo ha messo nei guai, perché ha popolato di protagonisti estranei la Banca d´Italia, cani in pasticceria, senza offesa per Geronzi, per Fiorani e per tutti gli altri.
Ed è insensata l´idea che Fazio sia attaccato perché cattolico in un paese che è popolato di cattolici, dal capo del governo a quello dell´opposizione, dai magistrati ai giornalisti ai professori universitari, ai bancari, ai banchieri e persino agli atei. Certo, il suo modo d´essere cattolico è da lucciola, ma non perché va a messa tutti i giorni o perché legge i testi sacri durante le funzioni nella chiesa del suo paese, o per i pellegrinaggi a Santiago di Compostela o le visite con tutta la famiglia alla Sacra Sindone, né perché sua figlia si fa suora. È lucciola perché è un cattolicesimo che deborda e invade il suo mestiere, perché Fazio si comporta più da vescovo che da bancario, e sono più numerose le sue “relazioni” tomistiche che le sue “apparizioni” finanziarie.
In Banca d´Italia ci hanno raccontato che, nel gennaio del 2002, entrando per la prima volta nell´ufficio di Fazio, il cardinale Re prese tra le mani il viso di quell´uomo che non aveva mai incontrato ed esclamò: «Ecco il nostro buon pastore». Il cardinale gli tributava un rispetto e un´amicizia come fosse dinanzi a una Santità laureatasi dentro e contro lo sterco del diavolo.
Le Santità non si dimettono, il loro mandato è stare nella fossa dei leoni faccia a faccia con Satana, sotto una pioggia di contumelie. Se si dimettesse dicendo «tenetevi la Banca, io resto con i miei affetti, con mia moglie, con i miei amici e con San Tommaso», perderebbe l´alone del gladiatore di Dio, sarebbe costretto a scendere dalla croce, per spegnersi ad Alvito insieme alle ultime lucciole di Pasolini.
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