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FATTO IL PRESIDENTE, ORA PARLA GREENSPAN

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(WSI) – Sistemato l’inquilino della Casa Bianca, con la riconferma di George Bush, i mercati aspettano che Alan Greenspan torni a fare il suo lavoro.

Molto più che il testa a testa nei sondaggi tra i due candidati, a creare incertezza a Wall Street è stata la scelta del governatore della Federal Reserve di evitare ogni mossa che potesse minimamente influenzare l’esito del voto. Una scelta che ha creato non poco nervosismo, anche perché i problemi (il prezzo del denaro, il dollaro in caduta libera rispetto alle altre monete, il deficit commerciale con l’estero) e le necessarie soluzioni, prescindono in gran parte da nome e dalle idee del presidente.

Si riparte dunque mercoledì prossimo, con la riunione dell’organo esecutivo della Fed che quasi sicuramente rialzerà di un’ulteriore 0,25% il costo del denaro portandolo al 2%. Un altro passetto verso quota 3% che gli stessi economisti della banca centrale definiscono «livello neutrale» rispetto all’economia reale. Una riavvicinamento necessario per consolidare una crescita economica che poggia su squilibri troppo grandi (tassi d’interesse bassi e deficit pubblico alle stelle) per poter sembrare rassicurante.

I tempi dei passi successivi sono tutti da decifrare: il prezzo del petrolio pesa e minaccia d’importare inflazione, le ultime dichiarazioni della Fed lasciano intendere che si teme molto questa eventualità. Ma ci sono altri elementi che suggeriscono una risalita meno rapida: il dollaro sempre più debole è ancora considerato come il principale elemento di riequilibrio per un deficit con l’estero ormai abnorme. Se le merci straniere costano sempre di più agli americani, le importazioni dovrebbero finalmente ridursi e nel contempo dovrebbero crescere le esportazioni a stelle e strisce.

Meccanismo virtuoso che rischia di non entrare mai in azione se i tassi d’interesse dovessero salire troppo decisamente facendo aumentare la domanda di dollari. Così come sul fronte tassi più alti significa oneri finanziari in crescita le famiglie americane, il cui indebitamento supera il 100% del reddito disponibile.

Una soluzione facile non c’è, non si può sbagliare e nemmeno essere troppo timidi. Critica che viene rivolta al Greenspan di questi mesi, che con tre microrialzi dello 0,25% in quattro mesi non ha ottenuto nessun risultato reale né sul mercato dei cambi, né su quello del deficit della bilancia commerciale. Solo con il «mago» di nuovo in grado di segnare la rotta in modo netto a Wall Street si parlerà di transizione finita.

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