Società

FASTWEB
SOTTO INCHIESTA
INDAGATI I MANAGER

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(WSI) –
Un commercio di traffico telefonico fittizio per gonfiare il fatturato e creare un credito Iva complessivo per oltre 170 milioni di euro. È questo il nocciolo di un´inchiesta cui sta lavorando la Procura di Roma e che riguarda in primo luogo Fastweb, la società telefonica milanese fondata nel 1999 da Silvio Scaglia e Francesco Micheli e ora guidata dallo stesso Scaglia (presidente) e da Stefano Parisi (amministratore delegato).

L´inchiesta va avanti da alcuni mesi ma solo in autunno ha preso corpo grazie a una perquisizione della Guardia di Finanza negli uffici di Fastweb, nella quale sono stati sequestrati documenti ritenuti molto interessanti dagli investigatori. Poi sono scattate le iscrizioni al registro degli indagati a carico di Scaglia e di altri cinque manager che lavorano o hanno lavorato nella società: Emanuele Angelidis, Mario Rossetti, Alberto Trondoli, Lorenzo Macciò, Bruno Zito. Le ipotesi di reato vanno dall´associazione a delinquere alle false comunicazioni sociali, alla dichiarazione infedele mediante l´uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (leggi la smentita di Fastweb e la conferma del Tribunale).

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Il meccanismo scoperto dagli inquirenti è piuttosto complesso e ruota intorno a diverse società terze, denominate “cartiere”, le quali hanno acquistato servizi telefonici e telematici (in particolare schede phonecard e traffico telefonico) da altre società estere con sede in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Questi servizi telefonici venivano poi ceduti a Fastweb con addebito dell´Iva e successivamente la società di Scaglia li rivendeva alle società originarie inglesi o americane questa volta senza l´addebito Iva. Creando così un indebito credito nell´ordine di svariate decine di milioni. La prova che le operazioni in questione sono fittizie, deriva dal fatto, secondo gli investigatori, che le società inglesi e americane da cui inizialmente vengono acquistati i servizi sono esattamente le stesse a cui la Fastweb li rivende. Chiudendo così la triangolazione.

Dalle indiscrezioni filtrate l´inchiesta non riguarderebbe solo la società fondata da Scaglia ma anche altre compagnie telefoniche. Dei 170 milioni di importo complessivo di Iva non versata dal complesso delle “cartiere”, circa 30 milioni farebbero riferimento alla sola Fastweb (il 20% di circa 150 milioni di fatturato fittizio) mentre gli altri 140 milioni di crediti Iva sarebbero ancora da attribuire e oggetto di indagine. I nomi delle 13 società “cartiere” finora individuati sono tra i più diversi e si tratta in qualche caso di Srl italiane che alla fine del 2003 hanno cessato l´attività per trasferirsi all´estero, in altri casi di società con sede in Olanda, nel Nevada, in Delaware.

In attesa di conoscere i prossimi passi dell´inchiesta, vale la pena ripercorrere gli ultimi passi nell´azionariato e nel business di Fastweb, passi che poi hanno avuto riflessi in Borsa. Nella primavera 2005 Scaglia propose un aumento di capitale molto importante, nell´ordine di 800 milioni di euro, per implementare il nuovo piano industriale che prevedeva di portare la fibra ottica su tutto il territorio nazionale, anche nei centri minori.

Verso la fine del 2005 il cambiamento di rotta: si ridimensiona il piano industriale e Scaglia dà mandato alla Deutsche Bank di trovare un compratore per la sua quota pari a circa il 30% del capitale. Contemporaneamente Scaglia decide di portare dall´Italia al Lussemburgo il controllo della sua partecipazione, sopportando un notevole carico fiscale. Nel febbraio 2006 la società decide di distribuire sotto forma di dividendo 300 milioni attingendo dalle riserve e Scaglia recupera in questo modo i soldi che aveva speso per far fronte all´aumento di capitale e per portare le sue società all´estero.

L´ultima mossa è cronaca dei giorni scorsi: mentre Parisi comunica i dati preliminari 2006 assicurando che la società non è in vendita, nonostante i rumors di un interesse da parte di Sky e Vodafone, Scaglia vende il 6,25% di Fastweb alla banca d´affari dell´Unicredit. Ubm riesce a collocare sul mercato solo l´1,25% a causa del crollo del titolo e nonostante un report della stessa Ubm del 16 gennaio consigli di acquistare i titoli fino a un prezzo di 49,8 euro per azione.

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