Società

FARMACEUTICI
E HI-TECH
ALLA RISCOSSA

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(WSI) – FORUM 2006 Nemmeno i numeri record registrati nei settori più disparati nel 2005 sono riusciti a convincere i profeti della fine dei mercati. Dopo quattro anni di espansione c’è ancora chi parla di «ripresa americana a rischio» e chi indulge sull’imminente crollo delle Borse occidentali (che hanno invece di fatto raddoppiato). Per colmo di incoerenza, si tratta spesso degli stessi commentatori che nel 2000 si affannavano a spacciare la new economy per il «sol dell’avvenire» del mercato. A questi rancorosi osservatori, la congiuntura del 2005 ha regalato un’altra cocente delusione: a molti detentori di attività finanziarie e reali nei settori più disparati sono piovuti in tasca lauti guadagni. Azioni, proprietà immobiliari, materie prime, antiquariato, beni di lusso e obbligazioni, chi più e chi meno, sono tutti balzati in avanti generosamente. E il 2006?

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Anche quest’anno Borsa & Finanza ha chiesto ad alcuni grandi protagonisti della finanza internazionale indicazioni sulle loro scommesse operative per il 2006. Senza dimenticare di andare a verificare se le loro puntate nel 2005 sono state fortunate o smentite dagli eventi. Al forum hanno partecipato: Edward Boehne, ex presidente della Federal Reserve di Philadelphia; Marc Faber, il gestore svizzero che vive a Hong Kong esperto dei mercati emergenti; Jim Rogers, il più noto gestore nel mondo delle commodity, già ai vertici del Quantum Fund; Juergen Trojan, ora consulente indipendente, già responsabile azionario di una grande banca tedesca; David Kotok, numero uno di Cumberland Advisors.

Secondo la mia opinione, nel 2006 la locomotiva Usa rallenterà, ma non si scivolerà in una recessione. Il rincaro dei carburanti, unito al raffreddamento del comparto abitativo, è in grado di moderare la spesa per consumi dei «signore e signora Smith». Ciò, a sua volta, metterà la Federal Reserve nella condizione di interrompere il ciclo di normalizzazione dei tassi, fermandosi al 4,75 per cento (a marzo). Molti, a proposito dell’inflazione, ritengono che il prolungato apprezzamento delle materie prime potrebbe fare da trampolino all’aumento dei prezzi, innescando una spirale viziosa come negli anni ’70. Io affronto l’argomento con un approccio opposto: il valore della produzione negli Stati Uniti dipende per tre quarti da salari e stipendi, e questi ultimi crescono in modo moderato, anzi calano in termini reali. I salari risentono della pressione che concorrenza internazionale e apertura delle nuove frontiere nell’Asia emergente rovesciano sulle aziende. È improbabile però che, in un tale contesto, il costo del lavoro possa schizzare verso l’alto facendo sfuggire il controllo sull’inflazione dalle mani delle autorità monetarie. Il dollaro?

Confesso che, anche quando sedevo ai piani alti della Federal Reserve e contribuivo a dettare la politica monetaria nazionale, non di rado sono rimasto sorpreso dai movimenti delle valute. Messe così le mani avanti, mi sento di sposare la previsione secondo cui peserà di più lo squilibrio commerciale Usa che non il differenziale nei tassi d’interesse a vantaggio della valuta americana. E quindi, sull’onda degli squilibri dei deficit gemelli, vincerà la tendenza al deprezzamento del biglietto verde.

Ho la convinzione che Ben Bernanke, appena si sarà insediato al timone della Banca centrale di Washington, comincerà a stampare moneta, facendo lo sgambetto al dollaro. Non commettiamo l’errore di farci ingannare dall’andamento dei mercati. Certo, il Dow Jones è salito negli ultimi anni. E le obbligazioni hanno tenuto le posizioni senza crollare. Ma questo solo perché le alchimie di Alan Greenspan hanno funzionato a danno del dollaro. Se si guarda al Dow Jones e lo si misura rispetto all’oro anziché alla valuta statunitense, ci accorgeremo che dal 2000 la Borsa newyorchese cala senza soluzione di continuità. Questa è la verità, pura e semplice.

Quando, fra qualche settimana, Bernanke raccoglierà il testimone da Greenspan l’approccio della Federal Reserve non cambierà. Proviamo a immaginare però il giorno in cui il mercato azionario dovesse correggere del 10%, all’unisono con il settore immobiliare. Dato che sono state le plusvalenze su questi mercati a dare slancio ai consumi negli Stati Uniti, la correzione provocherebbe una frenata dell’economia. E Bernanke non ci penserebbe su due volte prima di mettersi a stampare moneta come se non esistesse domani.

L’anno scorso consigliai ai lettori di Borsa & Finanza di acquistare dollari per il primo semestre del 2005. A quel tempo c’erano così tanti ribassisti che la stretta monetaria avrebbe causato un rimbalzo netto, seppure temporaneo, della divisa statunitense. Ma nel lungo termine, con Bernanke a dirigere l’orchestra, non c’è da puntare neppure un nichelino sul dollaro. Perciò me ne sto ben lontano da Wall Street, con una sola eccezione: le azioni farmaceutiche. Sono titoli lungamente e largamente bastonati dagli operatori e a sconto rispetto alle controparti estere. In Europa, invece, non mancano società con un discreto potenziale: metterei sotto la lente quelle che possono trarre vantaggio dai processi di ristrutturazione, dalle dismissioni dei rami improduttivi, dal taglio dei costi, dalle acquisizioni transnazionali e, più in generale, dai processi di razionalizzazione. Per quanto riguarda il mercato tedesco, mi vengono in mente i nomi di Lufthansa e Karstadt (una catena di distribuzione al dettaglio, ndr).

Buone occasioni si celano nell’immobiliare di diverse nazioni emergenti. Sicché può essere saggio assumere una posizione d’acquisto sui Reit (Real estate investment trust) asiatici. Senza trascurare la Borsa di Taiwan, un listino dominato da titoli che possono offrire quest’anno un dividendo assai cospicuo. Sul fronte delle materie prime, prevedo una prosecuzione della tendenza rialzista per lo zucchero. Infatti in Brasile, come in altri Paesi, lo zucchero è diventato un concorrente del petrolio, grazie al processo industriale che dalla canna deriva l’etanolo. Infine, mi riserverei qualche operazione al ribasso. In particolare trovarsi corti sul dollaro e sulle società di costruzioni Usa presenta una buona combinazione di rischio e rendimento.

L’anno scorso consigliai ai lettori di B&F le materie prime. Quest’anno debbo ripetermi. E, con ogni probabilità, rischio di dovermi ripetere anche l’anno prossimo. Non c’è bisogno di cambiare la composizione del portafoglio a ogni folata di vento. La domanda di commodity segue la sua naturale traiettoria di crescita mentre l’offerta non riesce a stargli dietro. Guardiamo al settore petrolifero o a quello minerario: le aziende acquistano altre aziende per accrescere la capacità produttiva, mentre gli investimenti restano sottodimensionati rispetto alle richieste del mercato. Per il risparmiatore medio, la mossa più accorta consiste nell’acquistare un fondo specializzato sulle risorse di base o un giardinetto di certificati. E dormirci sopra per qualche lustro. Quando la Cina entrerà in recessione – il che prima o poi accadrà, anche se non sappiamo se accadrà domani oppure fra un paio d’anni – le commodity ripiegheranno in maniera sensibile. A quel punto la soluzione vincente sarà di acquistare sulla correzione con ancora maggiore convinzione. Tutto qui. Questo vale per i risparmiatori. Agli operatori professionali, invece, consiglio di puntare sulle materie prime agricole: la soia, il mais e il caffè trattati al mercato dei future o dei certificati.

Prendiamo ad esempio il caffè: il consumo medio in Germania è di 8,6 kg pro capite, in Svizzera di 10,1 e in Giappone di 2,4 kg. E in Cina? Appena di 2 etti. Se il valore salisse gradatamente verso 1 chilogrammo, è evidente che la domanda globale potrebbe espodere con effetti impressionanti sulle quotazioni. Prima di soddisfare i nuovi consumi, del resto, ci vorrà tempo perché, sul fronte dell’offerta, i coltivatori hanno risposto ai prezzi insoddisfacenti del passato sradicando le piantagioni e sostituendole con coltivazioni più appaganti (a volte persino piante di coca).
La mia diagnosi sullo stato di salute delle piazze europee è abbastanza semplice e si riassume nei seguenti termini: le quotazioni basse, i rendimenti obbligazionari ai minimi storici e l’abbondanza di liquidità si combinano a formare una miscela adatta a fornire l’innesco per un altro anno positivo nel Vecchio Continente. I multipli non sono affatto cari: l’indice paneuropeo Dow Jones Eurostoxx50 passa di mano a 11,5 volte gli utili attesi per il 2006.

Se valessero le vecchie regole contabili, il multiplo oscillerebbe attorno a 14, ma si tratta comunque di valori esigui in una fase in cui la «concorrenza» dei titoli del debito garantisce appena il 3,5 per cento. Con queste premesse, il potenziale di apprezzamento è elevato, diciamo nell’ordine del 15%. E potrebbe essere raggiunto nella prima metà dell’anno, lasciando poi spazio alla tipica correzione estiva. Nel forum del 2005 fui selettivo con i titoli limitandomi a indicare Anglo American, Basf e Saint Gobain, scelte di cui posso ritenermi assai soddisfatto. A fronte di un ulteriore rialzo del 10% delle loro quotazioni, però, ora li venderei, mentre per il 2006 mi limiterei a replicare l’andamento dell’indice Eurostoxx50. La ragione di questa scelta è che i valori verranno spinti in alto dalla liquidità, così che il movimento del mercato assumerà la forma della tendenza corale.

Il cambiamento più rilevante, però, riguarda l’abbandono di un mio tradizionale cavallo di battaglia: le azioni aurifere. Non che abbia mutato la mia tesi di fondo. Al contrario, ritengo che il metallo giallo eserciterà un peso crescente nei portafogli istituzionali. Intendo però scambiare l’investimento in azioni aurifere con uno analogo in oro fisico, da acquistare con i certificati o i fondi specializzati. Insomma, giudico l’oro fisico più allettante delle società aurifere, perché queste ultime sono sopravvalutate, visto che stanno vivendo una fase di accelerazione da parecchi mesi.

Nel 2005 l’andamento dei mercati finanziari è stato guidato dalla notevole crescita nei profitti. Gli affari raramente sono andati meglio. Per questo mi trovo ora d’accordo con gli scettici che danno per probabile, se non per scontato, un atterraggio morbido sul fronte degli utili societari. Tuttavia, ai pessimisti sfugge un aspetto importante: proprio a seguito del boom che ha investito le aziende nel biennio 2003-2005, il rapporto prezzo/utili è calato al livello minimo degli ultimi 15 anni, così come i tassi d’interesse sono i più bassi della moderna storia finanziaria. E così, quando a marzo la Federal Reserve americana porrà la parola fine al ciclo di strette che ha portato i saggi sui fondi federali dall’1% del giugno 2004 al 4,25% attuale, i multipli inizieranno a espandersi, agevolando le quotazioni azionarie.

A questo punto la domanda scontata è: come approfittare del trend nei listini del Vecchio Continente? A mio avviso i titoli farmaceutici, il settore finanziario, con l’eccezione del Regno Unito, e il comparto tecnologico hanno discrete probabilità di far meglio della media degli indici dei listini azionari. I farmaceutici perché reduci da un periodo tormentato, in cui sono stati troppo trascurati. I finanziari perché potranno approfittare del clima favorevole della congiuntura monetaria. Infine, la tecnologia, perché influenzata dalla ripresa del ciclo d’investimento da parte delle aziende.

Ricordo l’atmosfera del 2000: gli occhi sbigottiti e i giudizi sprezzanti dei clienti mentre tentavo di spiegare loro perché eravamo decisamente sottopesati sulle azioni della nuova economia. Ricordo quando Cisco arrivò a quotare 220 volte gli utili. E tutte le altre follie che resero pazza quell’epoca. Ma le buone occasioni d’acquisto prima o poi seguono le stagioni dell’azzardo. E così la tecnologia è tornata a rappresentare la prima scelta del mio portafoglio per il 2006. I motivi? Dal crollo azionario le aziende hanno stretto la cinghia.

Nel 2006 prevedo un ritorno agli investimenti da parte della Corporate America. E i beneficiari di questo trend saranno le aziende hi-tech. Non cambia invece la mia opinione sul fronte energetico: mantengo una esposizione robusta e di lungo termine verso i titoli petroliferi, basandomi sulla presunzione che a questo punto il settore oil non va più considerato ciclico, ma inserito nei comparti a più alto potenziale di sviluppo. Sovrappeso, infine, il Giappone. E, al contrario, consiglio di stare alla larga dall’edilizia e dalle compagnie più impegnate nei beni di consumo. Per concludere, i titoli del debito: da un paio d’anni facevo presente ai miei sottoscrittori la possibilità di una forte caduta delle quotazioni del reddito fisso. Per questo motivo ho concentrato il portafoglio bond sulle scadenze brevi. A posteriori, devo ammettere che le mie preoccupazioni erano eccessive. Continuo a essere scettico, ma non così negativo.

EDWARD BOEHNE
MARK FABER

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