Roma – Sono mesi che si parla con dichiarazioni più o meno fondate, di un imminente sbarco in borsa di Facebook, che valuterebbe la società qualcosa come più di $100 miliardi. In una situazione del genere, i dipendenti dovrebbero esultare, anche perchè detengono gran parte delle quote.
Ma non è così invece, visto che recentemente molti top manager hanno rassegnato le loro dimissioni all’improvviso, iniziando a vendere le partecipazioni sul mercato secondario.
In poco più di un mese, il numero uno della divisione di sviluppo business Jim Midgal ha lasciato la propria posizione; stessa cosa ha fatto Marcel Laverdet, noto, così come altri tre impiegati, per aver infettato Facebook con un virus e per essere stato paradossalmente assunto, invece di andare in carcere. Ha detto addio a Facebook anche Jonathan Heiliger, direttore generale delle infrastrutture tecnologiche. E questi sono solo i nomi più noti, visto che alla lista dei dipendenti in fuga se ne sono aggiunti altri.
Tra questi, un ex dipendente ha giustificato la propria decisione al New York Times, affermando che “mi è apparso molto rischioso rimanere in una situazione in cui tutta la liquidità che possiedi è comunque legata a quella che io considero una società ad alto rischio”.
Per prevenire un esodo quasi totale, Facebook ha anche consentito ai dipendenti-azionisti, di vendere una volta ogni tanto parte delle loro azioni ad acquirenti esterni. Ma l’espediente non ha funzionato sempre, tutt’altro. “Anche se potessi vendere tutto un 20%, possedere l’80% del mio patrimonio in un asset illiquido è da pazzi”, ha detto un altro “ex Facebooker” al Times.