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EX BIPOLARISMO USA-URSS, CRESCE LA NOSTALGIA

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Il sondaggio sugli orientamenti di politica estera degli italiani, realizzato dall’Ispo, l’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione di Renato Mannheimer, lascia pochi dubbi in proposito: le difficoltà che i liberal del centrosinistra si trovano ad affrontare sono molte, ma certo quelle che si trovano di fronte sulle questioni internazionali non sono tra le minori. Questo è quel che emerge dalla prima giornata del convegno dell’Associazione Libertàeguale, che si tiene come ogni anno a Orvieto.


La mole di problemi scottanti va ben oltre l’immediata questione della presenza italiana in Iraq. Il dato di fondo è la presenza di un orientamento politico-culturale del tutto particolare, che segna una divisione in due del paese già sul giudizio di base sull’evoluzione della situazione internazionale dell’ultimo ventennio.

Alla domanda se la situazione politica internazionale fosse migliore nel periodo dello scontro tra i due blocchi oppure oggi, il 28% tra tutti, e il 37% tra l’elettorato di centrosinistra, preferisce il passato del bipolarismo sovietico-americano, mentre il 37% (e rispettivamente 36%) sceglie l’oggi e il 35% (28%) non sa. Il dato dello scontento è impressionante. Resta da vedere quanto in tale orientamento pesi la nostalgia del vecchio assetto, anche per i suoi risvolti sul terreno politico interno, e quanto invece il desiderio di una stabilità a ogni costo.

E qui veniamo al secondo punto: lo scontento verso chi si indirizza? E’ naturale che la maggior responsabilità ricada addosso agli Stati Uniti, l’unica superpotenza oggi sulla scena. Illuminante è la domanda sul rapporto nei confronti degli Usa. Coloro che li ritengono molto o abbastanza simpatici sono ancora una maggioranza nel paese, anche se passano – dall’aprile 2002 ad oggi – dal 72 al 56%; diventano invece una minoranza nell’elettorato di centrosinistra, crollando dal 64 al 44%. Indubbio è il peso, in tale mutamento di posizioni, di come vanno le cose in Iraq, e non solo.

L’evoluzione cronologica mostra infatti come il clima peggiori dopo l’intervento in Iraq, e ancor più quando si vanificano le attese di una rapida pacificazione. In questo giudizio critico riprende fiato anche un vecchio antiamericanismo, delle cui profonde radici nessuno dubita? Solo in parte. Infatti alla questione successiva, di quanto pesi l’amministrazione Bush nel determinare tale giudizio sfavorevole, si scopre che essa è determinante per oltre un terzo del campione totale, e per oltre la metà di quello del centrosinistra.

Il timore ravvicinato del terrorismo emerge nettamente dalla rilevazione di Mannheimer, che già aveva anticipato tale dato sul Corriere della Sera. In un anno, dopo la strage di Madrid, la paura di attacchi terroristici sale di ben venti punti, dal 34 al 53%, unificando a tale cifra i dati dei due campioni di riferimento. Insomma, anche l’elettorato dell’Ulivo allargato vive una fase di profonda insicurezza come quella del resto dei cittadini. Solo un quarto degli intervistati ritiene che il terrorismo non sia una minaccia rilevante per chi fa una vita come la loro.

Tale condizione di incertezza e di timore si riflette anche nel giudizio sulla permanenza dei soldati italiani in Iraq. Cresce chi chiede il ritiro perché la guerra era sbagliata sin dall’inizio (il 36% tra tutti, il 59 nel centrosinistra), mentre cala chi voleva tenere là le truppe per aiutare la ricostruzione del paese (rispettivamente il 21% e il 13%). Sale, e di molto, chi non sa cosa scegliere. Maggioritaria tra tutti, con il 51%, e ancor più nel centrosinistra, con il 68%, è l’opinione che la guerra non sia il mezzo per sconfiggere il terrorismo.

La profondità del pessimismo che pervade il nostro paese lo si vede anche nella risposta all’ultima, grande questione: se la campagna terroristica dipenda da un piano antioccidentale del mondo islamico, o se derivi da reazioni al modo con cui gli occidentali hanno gestito i rapporti con il mondo arabo. La prima tesi – quella dello scontro di civiltà – si attesta al 33%, con un aumento di otto punti su aprile 2204, e anche nel centrosinistra sale dal 12 al 22; la seconda tesi, quella della reazione, cala dal 63 al 40% fra tutti, e dall’80 al 57 a sinistra. Ma quello che cresce, e di molto, è il numero degli indecisi, che arriva oltre il 20% per entrambi.

Insomma, come dice uno dei leader dei liberal diessini Enrico Morando, «la piattaforma del centrosinistra è del tutto inadeguata a rispondere seriamente alla crescita del timore per la sicurezza che il sondaggio conferma». Se non si vuole lasciare il campo alla tesi dello scontro di civiltà, occorre una nuova analisi del mondo attuale e nuove risposte, senza cedere a facili e demagogiche concessioni.

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