Società

Evasione da due miliardi e mezzo di euro grazie alla lira

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Due miliardi e mezzo di euro di soldi evasi al fisco, circa cinque miliardi di vecchie lire. La banda della lira ha agito in modo molto semplice e, sembra, indisturbato: ha prima tenuto nascosto la somma, che basterebbe per coprire le spese che in un anno l’Italia deve affrontare per soccorrere e accogliere i migranti che arrivano nelle nostre coste, e ora vuole convertirla in euro.

A indagare sulla vicenda, che vede coinvolto in prima persona un finanziere del Ticino, a Lugano, è l’Antimafia. Il tesoretto, come racconta L’Espresso, è sfuggito completamente al radar di fisco, polizia e autorità. Si tratta di una somma di economia sommersa risalente al secolo scorso, che la “banda della lira”, come viene chiamata dal magazine, vuole riciclare grazie allo studio legale di Luciano Faraon 72enne avvocato e presidente dell’Associazione Internazionale Vittime Giudiziarie e difensore del primo pentito della Mala del Brenta.

La banda, secondo la ricostruzione dell’accusa, è formata da “palazzinari, soprattutto, ma anche imprenditori di altri settori, persino un petroliere e un magistrato. Venti persone, sostiene l’avvocato, che mantiene massimo riserbo sull’identità dei suoi clienti ma mostra le foto delle lire impilate su tavoli e pavimenti”. Faraon promette di rivolgersi anche alla Corte europea se ce ne sarà bisogno, per ottenere quella che chiama “giustizia”.

Faraon è consapevole che i soldi sono frutto di un’attività criminale, di un’evasione fiscale, ma ritiene che ci siano gli estremi per usarli anziché buttarli. Specialmente in un periodo di crisi economica come quello che l’Italia attraversa, si chiede Faraon, “non sarebbe meglio usarli per immetterli nell’economia legale? Io penso che in mezzo a tanti condoni non guasterebbe farne uno in più al fine di far ripartire l’economia“.

Per ottenere la conversione in lire Faraon si è rivolto all’Agenzia delle Entrate del Veneto e a Bankitalia. I clienti dell’avvocato veneto sono disposti a devolvere alle casse statali il 3% della somma. Ora spetterà all’istituto decidere il da farsi. Si tratterebbe di uno dei condoni fiscali più generosi di sempre dopo lo scudo fiscale di Giulio Tremonti del 2002, che prevedeva infatti un’aliquota del 2,5%.