Nuove fosche nubi tornano ad addensarsi sull’Europa. La tregua generata dall’iniezione di oltre mille miliardi di euro nel sistema bancario europeo da parte della Banca centrale europea (BCE) sembra essere già finita. La settimana si è infatti aperta con significativi rialzi dei rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi europei in difficoltà e con l’allargamento del differenziale rispetto ai titoli tedeschi (martedì scorso lo spread dei titoli italiani e spagnoli è ritornato sopra i 400 punti base) e si è chiusa ieri di nuovo con Borse in ribasso e rendimenti in rialzo.
L’attuale recrudescenza della crisi vanifica gli sforzi profusi dalla Banca centrale europea e rappresenta la rivincita delle ragioni dell’economia reale. Innanzitutto sorprende e preoccupa quanto poco siano durati gli effetti dell’imponente manovra della BCE. I mille miliardi di euro distribuiti in due tranches si proponevano di fornire liquidità al sistema bancario, affinché nei Paesi a rischio quest’ultimo acquistasse i titoli di Stato calmierando i rendimenti.
Ed è quanto hanno sicuramente fatto le banche italiane e spagnole, ma nonostante questi due sistemi bancari siano stati quelli che più si sono abbeverati presso gli sportelli della BCE, gli effetti sui mercati sono durati solo poco più di tre mesi. Addirittura sia in Spagna sia in Italia le due ultime aste dei titoli di Stato sono state molto deludenti: il mercato non ha assorbito l’intera offerta di titoli di Stato.
Si ha quindi l’impressione che la capacità di fuoco delle banche italiane e spagnole si stia esaurendo e che non vi siano altri acquirenti (soprattutto quelli stranieri) disposti a dare un colpo di mano. Non a caso il miglioramento della situazione registrato nel mezzo della settimana è stato determinato da dichiarazioni che sembravano preannunciare nuovi acquisti dei titoli statali spagnoli e italiani da parte della BCE.
Una prima conclusione è d’obbligo: non vi sono sul mercato un numero sufficiente di acquirenti disposti ad assorbire i titoli di Stato che devono collocare i Governi di Madrid e di Roma e quindi senza gli interventi di Francoforte i tassi di questi Paesi sarebbero ben più alti.
Insomma, siamo in presenza di un mercato sempre più pilotato dalle autorità monetarie. Inoltre, il crescente volume di titoli di Stato detenuti dalle banche spagnole e italiane fa sì che si è ulteriormente rafforzato il rapporto simbiotico tra banche e Stati, per cui un calo dei corsi dei titoli statali mette in discussione anche la solvibilità del sistema bancario.
Per essere più chiari, una forte caduta dei titoli di Stato italiani farebbe esplodere le preoccupazioni sulla solidità delle grandi banche italiane. Queste nuove tensioni sono il frutto della sempre più diffusa consapevolezza che le misure di austerità varate da Madrid e Roma stanno provocando una recessione ben più profonda delle previsioni e, quindi, causando un calo del gettito fiscale non permetteranno di centrare gli obiettivi di risanamento dei conti pubblici.
La Banca d’Italia prevede ora che l’economia si contrarrà quest’anno dell’1,2% (alcuni mesi or sono le stime erano nettamente migliori), ma tutto induce a ritenere che la recessione sarà ben più grave, a tal punto da mettere in dubbio l’obiettivo del Governo Monti di portare l’anno prossimo in pareggio i conti pubblici (ed è quanto si paventa in un documento degli esperti della Commissione europea distribuito durante l’ultimo vertice dell’Eurogruppo).
In Spagna la situazione è addirittura peggiore: si prevede una contrazione economica dell’1,7% in un Paese dove la disoccupazione è al 23% e dove la crisi immobiliare rende urgente la ricapitalizzazione del settore bancario. Le politiche di austerità stanno dunque mostrando la corda, ma non esiste un’alternativa a queste misure nell’attuale Unione monetaria europea. Che fare?
Nel breve periodo è molto probabile che si riprenderà a mettere in funzione la zecca della BCE per turare le falle che si apriranno. Ma questa via non può essere percorsa ancora a lungo anche per l’opposizione della Germania che vede correttamente in queste manovre un trasferimento camuffatto dei debiti dai Paesi in difficoltà a quelli virtuosi.
L’opposizione tedesca rende pure improbabile che vengano emessi degli Eurobonds, ossia delle obbligazioni garantite da tutti i Paesi di Eurolandia. Pure l’aumento delle risorse a disposizione del nuovo Fondo salva-Stati non sembra sufficiente a scongiurare una crisi che colpisca Italia e/o Spagna. È quindi prevedibile che si continuerà con mezze misure tese a guadagnare tempo in attesa che una forte recrudescenza della crisi dell’euro ponga all’ordine del giorno la questione della sopravvivenza della moneta unica europea.
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