L’euro sta tradendo le aspettative degli analisti: a due mesi dall’inizio di un anno che avrebbe dovuto rappresentare il momento del riscatto dalla potenza del dollaro, la moneta unica stenta ancora a trovare la sua strada. E oggi, a differenza di qualche mese fa, gli analisti interpellati da WallStreetItalia nutrono qualche dubbio sulla possibilità per l’euro di tornare alla parità con la valuta USA, o, tantomeno, di portarsi al di sopra. Per ora, sostengono, visto il nervosismo del mercato, il livello attorno a $0,90 è equo; il problema sarebbe la rottura del supporto a $0,88, che farebbe scattare un movimento decisamente ribassista.
In questa fase ha il suo peso negativo anche la crisi finanziaria turca, che porta gli investitori a comprare il dollaro nella sua veste di valuta-rifugio. Ma la debolezza dell’euro ha le radici piantate a ovest, oltre Atlantico, piuttosto che a est, sul Bosforo: sta nelle prospettive di crescita americana che non sembrano così negative da far prevedere un’implosione dell’economia USA. Nemmeno le stime di una maggiore crescita in Europa nel 2001 (+2,5%) rispetto a quella americana (+1,9%) sono sufficienti a cambiare il sentiment del mercato. Anche perché se la Banca Centrale Europea continua a non ridurre i tassi, questo potrebbe essere interpretato come un ostacolo alla crescita economica.
Il mercato è convinto insomma che il rallentamento oltre Atlantico non è tale da provocare il crollo del dollaro a favore dell’euro. L’America, spiegano gli analisti, non sta precipitando: la rivoluzione tecnologica è comunque in atto, la produttività è a buoni livelli, le autorità monetarie stanno dimostrando di essere estremamente vigili e pronte a intervenire per guidare o assecondare l’economia.
Gli analisti non hanno difficoltà ad ammettere che la situazione è particolare. Sergio Lugaresi, capo ufficio studi di Banca di Roma, spiega che normalmente le principali variabili su cui si basa l’andamento dell’euro sono tre: le previsioni economiche; il prezzo del petrolio; il differenziale sui tassi di interesse. Il differenziale tra i tassi di interesse USA e della zona euro si vanno sempre più assottigliando, dopo i ripetuti interventi della Federal Reserve e l’immobilità della Banca Centrale Europea che, secondo gli analisti, neanche oggi opererà tagli al costo del denaro e lascerà il tasso di sconto al 4,75%.
“Oggi come oggi – dice Lugaresi – ciò che conta di più è la variabile legata alle previsioni di crescita in America; non credo che la Federal Reserve interverrà a breve sui tassi, e questo può essere interpretato dal mercato come un segnale di non peggioramento dell’economia”.
Infatti ieri il presidente della Fed non ha dato indicazioni cha abbasserà i tassi prima della riunione della Fed il 20 marzo, cosa che invece si aspettavano la maggior parte degli analisti. (Vedi Tassi: Greenspan spiazza gli analisti)
La conseguenza è la tenuta del dollaro a scapito della valuta europea.
“Non è l’euro che ci aspettavamo, confessa un’analista di Dresdner Kleinwort Albertini Sim – oggi avrebbe dovuto trovarsi a livelli superiori e puntare in modo molto più deciso verso la parità”. Invece la moneta unica si trova in una sorta di limbo, fatica a superare la soglia degli $0,95 e galleggia tra $0,90 e $0,92 e quando spinge un po’ di più verso l’alto viene ricacciata verso il basso.
Ieri a New York la moneta unica europea ha chiuso a $0,9230, contro $0,9180 della chiusura precedente.
“Per come stanno le cose – dice Roberto Mialich, responsabile Forex Research di Ubm – la parità può essere vista come limite superiore a cui puntare ma al quale tuttavia mi sembra difficile poter arrivare entro l’anno, a meno che non si verifichi un’improbabile implosione dell’economia USA”. Dello stesso avviso è Lugaresi.
E anche tra i più possibilisti, come Gianluigi Mandruzzato, analista di Comit, che non esclude il raggiungimento della parità, serpeggia una certa cautela: “noi restiamo positivi sull’euro – dice – e riteniamo che il ribasso degli ultimi tempi sia temporaneo e non giustificato dai fondamentali”; tuttavia lo stesso Mandruzzato vede l’ipotesi di un ritorno a $1 non prima della fine dell’anno.