EURO SENZA FRENI A 1.40, POI SI VEDRA’

di Redazione Wall Street Italia
19 Settembre 2007 03:45

Il contenuto di questo scritto (pubblicato il 14 settemmbre) esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) –
La gran parte dei 15 esperti ascoltati da Borsa & Finanza colloca il cambio euro/dollaro a 1,40 entro la fine dell’anno, e poi scommette su un graduale ripiegamento verso 1,35-1,36. Anche se, vale la pena ricordare, non mancano voci fuori dal coro. L’improvviso scivolone della divisa americana è messo in relazione con una serie di statistiche secondo cui la locomotiva statunitense perde colpi rapidamente, imponendo alla Banca Centrale un drastico taglio del costo del denaro già a partire dall’imminente vertice di martedì 18 settembre. Spiega Bob McKee della londinese Indipendent Strategy: «La riunione di settimana prossima dovrebbe accompagnarsi a un calo del tasso d’interesse sui fondi federali di 25-50 punti base; poi ne seguiranno altri per un totale di 75 punti base entro dicembre».

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Quello sarà il punto in cui gli investitori internazionali potrebbero mostrare una certa ritrosia nel finanziare il deficit commerciale americano, a causa del basso rendimenti offerto dalle attività denominate in dollari. «Inoltre, se la Federal Reserve taglia, la Banca Centrale Europea non vede l’ora di alzare. Di più: mentre il terremoto dei mutui subprime ha il suo epicentro in America, esso colpisce il Vecchio Continente solo con le sue onde più esterne. Infine, mentre sul dollaro grava l’ipoteca di un immenso disavanzo delle partite correnti, l’euro trae vantaggio dal sostanziale pareggio della bilancia commerciale». Tanti di questi fattori, però, si riflettono già nelle quotazioni correnti, sicché essere corti di dollaro non è senza rischi. Dice Asmara Jamaleh di Caboto: «La turbolenza è destinata a salire con l’avvicinarsi del meeting di martedì 18 settembre, in quanto cresceranno di pari passo l’incertezza e l’ambiguità. Mi pare che i cambisti siano immersi in un pessimismo troppo cupo circa l’economia americana e la sua divisa. Perciò, non sarei sorpresa se dopo la decisione della Fed la pressione delle vendite si stemperasse, restituendo un po’ di pace ai rapporti di cambio».

Molto dipenderà pure dall’entità del taglio. «Il mercato si aspetta un colpo netto da 50 punti base – ragiona Michael Woolfolk della Bank of New York – Se Bernanke si limiterà a 25 punti base, parecchi operatori torneranno sui loro passi, favorendo un rimbalzo del biglietto verde».
Insomma, aspettiamoci tanta volatilità, e buoni risultati per la moneta unica almeno fino alla fine dell’anno. Poi il quadro si complica, la sfera di cristallo degli esperti diventa nebulosa, e si registrano due opposte scuole di pensiero. Qualcuno punta su un ritorno del dollaro, per esempio Gavin Friend di Commerzbank: «Assisteremo all’atterraggio morbido dell’economia Usa e, in seguito, alla sua riaccelerazione. Stando così le cose, la Fed si troverà obbligata a mettere mano alla leva dei tassi e l’euro dovrebbe calare spontaneamente». «Anche perché – aggiunge Roberto Mialich di Unicredit – il dollaro è fortemente sottovalutato rispetto alla parità del potere d’acquisto».

Qualche analista, però, la pensa diversamente, e giunge a indicare 1,50 come obiettivo del 2008. La tesi si basa non soltanto sull’arcinoto deficit delle partite correnti, ma anche sul deflusso dagli asset espressi in dollari. Vediamo di capire. Molto si è detto sulle riserve che vanno «impilandosi» nei forzieri delle Banche centrali asiatiche. Si sostiene che prima o poi le istituti di quei Paesi decideranno di diversificare, vendendo dollari e acquistando euro, sterline e franchi svizzeri. Questa eventualità mette i brividi giacché le Nazioni emergenti posseggono 4.700 miliardi di dollari nelle loro casse. Tuttavia vi è una minaccia persino maggiore e generalmente inesplorata nei dibattiti sulla stampa internazionale: stiamo parlando dei gestori americani, che più di ogni altro fuggono dal dollaro. In base alle stime esistenti, amministrano 20mila miliardi di dollari (5 volte le riserve dei Paesi emergenti) e avrebbero già scaricato oltre mille miliardi negli ultimi 4 anni, per comperare titoli e beni denominati in moneta estera.

Infine, se i professionisti ascoltati da Borsa & Finanza hanno ragione, e il dollaro si manterrà debole per qualche mese, tanto Wall Street quanto l’economia americana dovrebbero beneficiare di una bella spinta in avanti. La prima perché il 29% dei suoi profitti è generato all’estero. La seconda grazie all’impulso proveniente dalla domanda estera. Infatti, l’indebolimento del biglietto verde, unito alla tenuta della congiuntura globale, sta dando fiato alle esportazioni, bilanciando la flessione nel settore immobiliare. Ecco le cifre: durante il secondo trimestre del 2007, l’export ha aggiunto al prodotto interno lordo 1,4 punti percentuali, mentre gli investimenti residenziali hanno sottratto appena 0,6 punti. Lo stesso dovrebbe verificarsi pure nel terzo trimestre dell’anno perché i dati di luglio sono in miglioramento. È quasi paradossale, ma gli Stati Uniti forse si salveranno dalla recessione grazie al fatto che il loro peso sull’economia planetaria è in continua diminuzione e ciò gli permette per la prima volta di appoggiarsi al resto del mondo invece di portarlo al rimorchio.

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