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Euro: ore cruciali, il destino nelle mani delle aste

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(WSI) –Che ieri in Italia si siano dovuti attendere con ansia i risultati di un’asta di Bot è un segno chiaro dello spaventoso potere dei mercati. L’asta – titoli a 12 mesi per 7 miliardi – è andata benino, con una salita dei tassi modesta, 2,067% contro 2,014% di dicembre. A differenza degli altri Paesi dell’area euro finora sotto attacco, nel breve termine l’Italia non ha problemi né di bilancio pubblico, né di conti con l’estero, né di ricapitalizzazione delle banche.

Eppure potremmo avere problemi di bilancio più in là se i mercati per qualche motivo si metteranno in testa che potremmo averli. Nella finanza mondiale di oggi regna la self-fulfilling prophecy , ovvero la profezia capace di avverarsi da sola, qualora riesca a essere creduta da un numero sufficiente di persone. Saranno i risultati delle emissioni di titoli pubblici delle prossime ore a dirci se la crisi dell’euro davvero torna ad aggravarsi o se, come comincia a ipotizzare qualche analista, nei giorni scorsi i mercati abbiano ecceduto nel pessimismo.

Oggi tocca al Portogallo, che metterà all’asta buoni del Tesoro decennali con il rischio di varcare quella soglia del 7% di interesse che ha messo prima la Grecia e poi l’Irlanda con le spalle al muro (ieri il tasso di mercato era 7,08%).

Eppure le difficoltà del Portogallo sono assai meno pressanti di quelle dei due Paesi già soccorsi. Ieri il primo ministro José Sócrates ha annunciato che i risultati di bilancio 2010 saranno migliori del previsto: meno spese, più gettito fiscale, 800 milioni di euro di minor deficit. Un po’ di respiro ieri lo ha dato il Giappone, annunciando acquisti di bond europei.

Benché Sócrates ieri abbia di nuovo smentito una richiesta di aiuto all’Europa, nell’opinione degli esperti resta alta la probabilità che prima o poi ci si arrivi. Intanto la Spagna e l’Italia andranno alla prova dei mercati domani. Per diminuire le tensioni, Madrid conferma che sta organizzando collocamenti di titoli riservati alle banche.

Al momento, il tasso di mercato sui titoli decennali italiani è al 4,85%. Nel 2010 il costo medio del debito pubblico accumulato dovrebbe essere stato attorno al 4%, e a pagare questi interessi dovrebbe essere andato il 9% dell’intera spesa delle nostre amministrazioni pubbliche; è un onere simile a quello dei Paesi deboli, ma la differenza è che noi ci siamo abituati, anzi stiamo assai meglio adesso che negli Anni 90. Ovvero, in termini tecnici, il «saldo primario» (differenza fra spese e entrate al netto degli interessi) è vicino al pareggio, così come lo è in Belgio, altro Paese ad alto debito che per analoghi motivi non dovrebbe essere a rischio.

Eppure, «è possibile che nell’area euro siano coinvolti in future insolvenze perfino Stati fondamentalmente in grado di pagare i loro debiti», come l’Italia, qualora avvengano «attacchi speculativi» appunto self-fulfilling , capaci di innescare «ritiri precauzionali di fondi privati». Così si legge in uno studio appena uscito dal colosso bancario americano Citigroup, dove l’ufficio studi è guidato dal brillante economista anglo-olandese Willem Buiter.

Quando il panico si diffonde, le paure diventano realtà: come gridare «al fuoco» dentro un cinema può, anche senza fuoco, provocare una calca dove qualcuno ci rimette la pelle.Il documento di Buiter prevede che l’euro supererà la crisi benché l’entità attuale dei fondi di soccorso europei, 421 miliardi rimasti dopo Grecia e Irlanda, non basti a coprire per tre anni le esigenze di finanziamento della Spagna nel caso abbia anch’essa bisogno di soccorso.

Se mai dovesse aggiungersi l’Italia – che nel triennio dovrà procurarsi sui mercati ben 818 miliardi di euro – non basterebbe nemmeno raddoppiare la cifra, proposta che finora la Germania respinge; ma gli economisti di Citigroup considerano «improbabile» che il nostro Paese giunga a quel punto. Non ci arriverà nemmeno la Spagna, sostiene da parte sua l’ufficio studi di Unicredit, a patto che l’Europa annunci un intervento mirato a sostegno delle sue banche.

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