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Euro fase 2, istruzioni da PIIGS: Exit o espulsione. Ristrutturazione debito. Cintura di sicurezza

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(WSI) – L’ingegner Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea (Bce) dovrebbe vedere un vecchio film del suo compianto compatriota René Clair “Les Silence est d’Or”. Infatti, ogni volta che apre bocca (pur soltanto per prendere fiato) fa danni. Non appena ha tentato di rassicurare i mercati affermando con voce stentorea che “l’euro non è rischio”, il valore della moneta unica è calato sui mercati internazionali e le Borse europee hanno fatto un tonfo.

È con i fatti che governi e banchieri centrali devono rispondere a quella che ormai appare non tanto un riassetto del tasso di cambio dell’euro (rispetto al dollaro Usa, allo yen, ed allo yuan) quanto una crisi di fiducia sul futuro dell’unione monetaria. Lo avevano previsto in molti all’inizio degli Anni Novanta. Il nodo non è tanto sui nessi tra integrazione monetaria ed integrazione politica quanto sull’aggravarsi delle divergenze tra Paesi che fanno parte dell’area dell’euro ma hanno strutture di produzione, tendenze di lungo periodo di economia reale e meccanismi di finanza pubblica molto differenti.

Il “semestre europeo” – ossia la temporalizzazione simultanea della preparazione ed approvazione delle leggi di bilancio – non è che un palliativo se non si risolvono i problemi delle differenze delle strutture di produzione e delle tendenze di lungo periodo dell’economia reale. Uno studio della Banca centrale spagnola ed uno di quella portoghese – ambedue in uscita in questi giorni – mostrano a tutto tondo come dall’inizio dell’unione monetaria i due Paesi abbiano avuto saldi passivi crescenti nei loro conti con l’estero, perdite di quote di mercato internazionale e produttività stagnanti, in parallelo con una smisurata crescita del credito totale interno e del suo impiego in investimenti a basso rendimento.

L’inflazione si è manifestata non tanto in aumento dei prezzi al consumo (quali monitorati dalla Bce) ma in un deterioramento della qualità dei prodotti di beni e servizi. Un fenomeno analogo potrebbe (o forse già riguarda) l’Italia. Quale che sia il caso accorre affrontarlo presto.

Come? Queste idee possono essere utili:

1. Un’uscita unilaterale dall’euro o un’espulsione di chi razzola male pare poco praticabile a ragione del suo elevato costo (due-quattro punti percentuali di perdita di Pil che, per di più, si aggiungerebbero a quanto perso nella recessione in corso dal 2007).

2. Una cintura di sicurezza blindata, quale l’istituzione di un Fondo europeo con annesso General Agreement to Borrow (un accordo perché il Fondo possa prendere a prestito dagli Stati membri tanto quanto necessita) non solo sarebbe operosissimo (e rallenterebbe la crescita proprio dei Paesi in maggiori difficoltà) ma premierebbe chi “razzola male” con una sorta di sanatoria permanente.

3. Una strada possibile è quella di ristrutturazioni con insolvenze concordate modellate ad esempio sui “Brady Bonds” (dal nome del Segretario al Tesoro Usa Nicholas Brady), creati nel 1989, al tempo della prima grande crisi debitoria dei Paesi soprattutto dell’America Latina. Chi entrava in un programma di ristrutturazioni perdeva il 30 per cento dei propri crediti nei confronti del debito sovrano dello Stato debito ma otteneva in cambio “bonds” garantiti dal Tesoro Usa. Nel caso dell’unione monetaria si tratterebbe ovviamente di obbligazioni garantite dalla Bce.

4. Si potrebbe infine prendere il coro per le corna e rinegoziare il trattato di Maastricht (ivi comprese le parità centrali del 1989 rimaste sottostanti l’euro nonostante andamenti economici divergenti e shock asimmetrici) a dare vita ad un regime europeo analogo a quello di Bretton Woods. Meno visionario ma più realisticamente fattibile.

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