Mercati

L’eterno dilemma tra azionario e obbligazionario

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A cura di Larry Hatheway, capo economista di GAM Investments

Nel corso del primo trimestre del 2019 i mercati azionari globali hanno messo a segno una discreta ripresa, in concomitanza con un brusco calo dei rendimenti obbligazionari. Il ruolo delle banche centrali è stato fondamentale. A gennaio la decisione della Federal Reserve di sospendere i suoi interventi, seguita dall’allentamento della Banca centrale europea in marzo, ha sedato i timori degli investitori azionari in merito alla debolezza della crescita e ha alimentato la domanda di obbligazioni.

Alla fine del trimestre, tuttavia, gli investitori hanno iniziato a chiedersi per quanto tempo ancora azioni e obbligazioni sarebbero salite all’unisono.

Contrariamente all’opinione diffusa, il calo dei rendimenti obbligazionari non sempre corrisponde a un aumento delle valutazioni azionarie. Il rallentamento della crescita, che si riflette nel calo dei rendimenti obbligazionari, erode gli utili piegando così le quotazioni azionarie. La flessione degli utili ha introdotto ulteriore rischio, portando a una svalutazione dei titoli azionari.

Il fattore determinante è la crescita

Se l’attività economica peggiorerà, sarà il mercato obbligazionario ad avere la meglio. D’altra parte, la ripresa danneggia i mercati obbligazionari e avvantaggia quelli azionari.

Con tutta probabilità sarà il mercato obbligazionario a cedere il passo, poiché plausibilmente quest’anno la crescita recupererà anziché ristagnare.

Per comprenderne i motivi, è importante considerare perché l’economia globale sia inciampata alla fine dello scorso anno. Generalmente, le fasi di rallentamento si manifestano perché si verifica uno o più di questi eventi:

  1. una stretta monetaria o fiscale,
  2. una frenata del credito,
  3. un aumento delle scorte o
  4. un incremento del prezzo del petrolio.

È difficile, però, spiegare il temporaneo rallentamento a cui abbiamo assistito recentemente solo sulla base di tali fattori. Nonostante i rialzi dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve lo scorso anno, i tassi di interesse reali negli Stati Uniti non sono mai stati particolarmente restrittivi. Le scorte e il prezzo del petrolio sono rimasti sotto controllo. La politica fiscale ha subito un deciso allentamento negli USA e nessuna stretta negli altri Paesi. Solo la Cina ha optato per una stretta creditizia.

Gli effetti degli stimoli fiscali introdotti negli Stati Uniti si stanno esaurendo. A inizio 2019 abbiamo però registrato un considerevole allentamento delle condizioni finanziarie. Anche la Cina ha cambiato orientamento, intervenendo su norme, infrastrutture, fisco e credito per alimentare la crescita.

Tuttavia, il fattore chiave per l’economia mondiale nel 2019 sarà la fiducia. L’anno scorso, gli “spiriti animali” sono stati contenuti dalle preoccupazioni per la guerra commerciale e per l’eventualità di una hard Brexit. Ora che Cina e Stati Uniti sono vicini a un accordo e che le probabilità di un no deal circa il processo di uscita della Gran Bretagna dall’Ue diminuiscono, presumibilmente la fiducia migliorerà.

Queste considerazioni ci portano a una conclusione chiara in termini di asset allocation: posizione al rialzo in azioni, al ribasso in obbligazioni.

Dopo un 2018 eccezionale, gli effetti di base saranno un ostacolo per gli utili negli Stati Uniti. L’incremento del costo del lavoro e l’aumento degli investimenti fissi in rapporto alle vendite eroderanno i margini e l’indice di rotazione delle attività. Gli utili in percentuale del Pil nel Paese, un indicatore approssimativo della leva operativa, sono già in calo. Infine, con l’economia verso la piena occupazione, gli Stati Uniti non sono più in grado di registrare una crescita sopra la media.

Gli investitori si troveranno quindi di fronte a una crescita degli utili piuttosto lenta, anche quando svaniranno i timori di una recessione globale.

Secondo gli esperti è meglio optare per un investimento in azioni di società con utili affidabili e un business model solido. Puntiamo sui fattori “qualità” e “volatilità minima” e sulle società con margini elevati e stabili rispetto a quelle con margini bassi e variabili. Da privilegiare, inoltre, sono i casi di crescita secolare, per esempio il settore dell’information technology o il Giappone. Siamo scettici sul fatto che i titoli “value”, finanziari o le società cicliche possano produrre sovraperformance in modo sostenibile.

A fini di diversificazione è meglio il credito specializzato, come i titoli MBS garantiti da ipoteca e le obbligazioni insurance-linked, oltre alle strategie target return e alternative risk premia. Questi, dunque, potrebbero generare rendimenti adeguati, che presentano una debole correlazione con l’andamento generale del mercato azionario e obbligazionario e che possono quindi ottimizzare la performance aggiustata per il rischio del portafoglio.