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Energia: fusione a freddo sbarca negli Usa

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ROMA (WSI) – Ha dovuto cambiare nome, come i testimoni scomodi. Ma dopo 24 anni di ignominia, la fusione fredda ha ottenuto il suo primo riconoscimento ufficiale dal governo americano: il 16 aprile l’ufficio brevetti Usa ha assegnato agli «Stati Uniti d’America rappresentati dal segretario della Marina militare» una licenza dal titolo “Sistema e metodo per generare particelle”.

Nel testo pubblicato non si usa mai la controversa dicitura di fusione fredda, né il più moderno acronimo Lenr (Reazioni nucleari a bassa energia). Ma che si tratti del procedimento annunciato al mondo nel marzo 1989, e subito screditato, lo conferma a left il Premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia: «Il brevetto presentato nel 2007 e oggi appena accettato si riferisce al noto problema della fusione fredda», risponde l’ex presidente dell’Enea. Rubbia, però, interrompe la corrispondenza email quando gli chiediamo esplicitamente se questo passaggio formale significhi che la fusione fredda funzioni. Gli interessi in gioco, del resto, rimangono altissimi.

Se, come sostenuto dai chimici Martin Fleischmann e Stanley Pons, il fenomeno della fusione dei nuclei di deuterio col conseguente rilascio di grandi quantità di calore avvenisse effettivamente anche a temperatura ambiente (e non solo a quelle estreme del Sole o delle centrali atomiche), il mondo sarebbe di fronte a una fonte di energia pulita, a basso costo e illimitata. E risolverebbe definitivamente il problema del rifornimento energetico e dell’effetto serra.

Ovviamente una simile rivoluzione farebbe saltare gli attuali equilibri geopolitici, visto che i Paesi produttori di petrolio perderebbero il loro primato. L’enorme posta in gioco e la concorrenza della fusione calda per i finanziamenti sono i primi indiziati per il muro che la comunità scientifica alzò già poche settimane dopo l’annuncio dei due scienziati dell’università dello Utah. Emblematico l’articolo di Nature intitolato “Addio (senza rimpianti) alla fusione fredda”.

Era il marzo 1990 e la prestigiosa rivista liquidava la «pretesa» di Fleischmann e Pons come «nota a piè di pagina» e paragonava gli studi sulla fusione fredda alla «ricerca della Pietra filosofale, perseguita alla faccia dei ripetuti fallimenti». La confusione suscitata dai due chimici, rincarava la rivista, «ha portato discredito alla comunità scientifica» perché «ha dato licenza alla magia». Già da mesi, comunque, gli epiteti si sprecavano: chimera, bufala, parascienza. Oggi quella “magia” si è aggiudicata addirittura il timbro del governo americano. «È singolare che l’ufficio brevetti degli Stati Uniti abbia accettato di brevettare un dispositivo che fa reazioni nucleari a temperatura ambiente. Sino ad adesso questa possibilità era sempre stata negata con ignominia», commenta Antonella De Ninno, ricercatrice dell’Enea e coautrice del famoso Rapporto 41 , il documento che nel 2002 risolveva la questione della scarsa riproducibilità della fusione fredda. La relazione, però, rimase in un cassetto e l’Enea bloccò i finanziamenti al gruppo. Anche lei è sicura che il lavoro della Marina a stelle e strisce sia collegato alle rivelazioni del 1989: «Il brevetto non parla esplicitamente di produzione di energia ma di particelle. Qualunque fisico, però, sa che l’unico modo per produrre particelle è la reazione nucleare».

Alcune possibilità di applicazioni del procedimento brevettato sono esplicitate nel testo, come «il trattamento del cancro, la bonifica dei rifiuti nucleari e la creazione di materiali strategici». Ma ovviamente tra i possibili sviluppi ci sono anche le armi di nuova generazione. «I militari hanno sempre avuto grande interesse per dispositivi che producono energia che siano trasportabili, compatti, silenziosi e non intercettabili dal nemico», sottolinea la De Ninno. Non si sa se i tempi lunghi della concessione del brevetto, richiesto nel settembre 2007 e reso pubblico il mese scorso, siano dovuti al procedimento di verifica o se la Marina americana abbia preferito sfruttare la possibilità di tenerlo secretato. In ogni caso, la pubblicazione è avvenuta alcuni mesi dopo la morte di Fleischmann. «È un passaggio notevolissimo. Quando lavorammo noi su quel tema ci fu impedito di brevettare e di pubblicare. Non so se si scelse di non procedere in quel settore perché si pensò che fosse troppo rischioso, nel senso che non ci hanno creduto, oppure perché si è valutato che non fosse il momento giusto o il posto giusto per fare certe cose», continua la de Ninno. La formalizzazione americana «dimostra che la maturazione degli eventi è localizzata geograficamente lontana dall’Italia», chiosa con una punta di amarezza.

Quindi, conclude la ricercatrice, «non solo la fusione fredda non era una bufala, ma a distanza di anni le cose sono andate avanti al punto tale che l’ufficio brevetti americano concede un brevetto per un dispositivo che produce energia nucleare a bassa temperatura». Di un fatto dal forte significato politico parla anche Francesco Celani, fisico dell’Infn che sta dimostrando con un approccio open source la realtà della fusione fredda. «È la prima volta che il governo americano tramite il Dipartimento della Difesa reclama la proprietà intellettuale e scientifica di un brevetto sulla fusione fredda. Di fatto l’amministrazione statunitense dice che il fenomeno esiste e che loro ne sono proprietari. Prima avevano sempre rifiutato di mettere un timbro ufficiale come governo. È un cambiamento di atteggiamento: sono abbastanza convinti che la cosa abbia una sua solidità scientifica tale da metterci la faccia».

Anche se tecnologicamente vecchio, secondo Celani, il lavoro brevettato è interessante dal punto di vista scientifico perché dimostra che «c’è una leggera emissione di particelle nucleari alfa che non si giustificano se non presupponendo un nuovo tipo di fisica». Si potrà mai passare dalle sperimentazioni di laboratorio all’applicazione pratica? «Adesso la possibilità c’è», risponde Celani. Impossibile invece ottenere informazioni dal Pentagono. Dopo una richiesta all’ufficio stampa, abbiamo ricevuto una telefonata da una funzionaria del dipartimento della Difesa che ci chiedeva dettagli su left e su come eravamo venuti a conoscenza del brevetto. Malgrado le tante email che sancivano la presa in carico della nostra domanda, tutte con l’acronimo Lenr come soggetto, nel giro di una settimana non abbiamo avuto alcuna risposta. Bocche cucite, insomma, sulle ragioni che hanno portato la Marina a stelle e strisce a registrare un esperimento di fusione fredda.

Titolare del brevetto è anche la Jwk international corporation, un’azienda con sede in Virginia che si occupa di supporto tecnologico e gestionale per strutture governative negli Usa e all’estero. Oltre a lavorare con il governo americano, tra i suoi clienti la Jwk conta anche Egitto, Corea, Cina e Micronesia. Gli autori del brevetto sono gli scienziati che da anni lavorano sul fenomeno nei laboratori di ricerca della Marina nell’installazione militare di San Diego. Malgrado i silenzi e le omissioni, infatti, la ricerca sulla fusione fredda non si è mai interrotta.

In particolare è stata perseguita dal Giappone, che l’ha sostenuta soprattutto a livello accademico e industriale, con aziende come la Toyota, e da altri Paesi asiatici. Anche l’Europa non ha mai gettato completamente la spugna, compresa l’Italia malgrado gli ostacoli. Ovviamente il mondo militare non ha mai smesso di investire sul fenomeno. I brevetti, però, sinora erano stati tutti privati. Seppure in sordina, la presa di posizione del Pentagono rappresenta quindi una svolta importante. Sicuramente una bella vittoria, seppur postuma, per Fleischmann. Anche se non si parla ancora di riabilitazione. A Galileo, comunque, è andata peggio.

UN VIDEO SUL PRIMO APPARATO SPERIMENTALE DI FUSIONE A FREDDO:

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