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ENEL: BENE COME PR, MALE COME INVESTIMENTO

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Che differenza, una settimana dopo. Lunedi’ scorso, l’Enel era una dei titoli di borsa piu’ desiderati del mondo intero. La frenesia e l’eccitazione che hanno accompagnato il collocamento assomigliavano alla febbre speculativa per qualche titolino del settore internet a Wall Street, e non una colossale utility.

Il collocamento e’ stato sottoscritto dal quintuplo degli azionisti previsti, il governo di Roma l’ha chiamata ”l’offerta del secolo” e milioni di italiani e anche di investitori esteri si sono precipitati per avere una fetta della torta.

Adesso pero’ e’ venuto il momento dei conti: e chi ha investito in Enel ha scoperto che avrebbe dovuto semplicemente tenersi alla larga dal titolo. Le azioni sono scese di prezzo, inveci di salire, lasciando i 3,8 milioni di sottoscrittori decisamente infastiditi. Se questa e’ l’offerta del secolo, saremo tutti fortunati se non ce ne saranno altre simili in futuro.

Il titolo ha chiuso la settimana a quota 4,29 euro, cioe’ in ribasso dello 0,19% rispetto al prezzo di collocamento. Per ora, non e’ un calo terribile, ma certo non quel gran rialzo che la maggior parte degli investitori si aspettava.
Il problema e’ che il ribasso del prezzo non e’ affatto una sorpresa, visto il livello di sopravvalutazione delle azioni al collocamento.

L’offerta dell’Enel al mercato e’ stato infatti un pezzo di bravura in termini di pubbliche relazioni da parte del governo italiano, che ha fatto in modo da concentrare l’attenzione soltanto sui punti positivi, mentre ha lasciato completamente in ombra i fattori negativi. Le enormi dimensioni dell’operazione – e’ stato il piu’ grande collocamento della storia finanziaria – lo hanno reso all’inizio attraente per diverse ragioni. Intanto, poiche’ adesso rappresenta circa il 12% dell’intero indice Mib-30, i manager dei fondi d’investimento sono obbligati a comprare le azioni Enel per portare i loro fondi in linea con la composizione dell’indice. Inoltre, piu’ grande e’ il numero di titoli emessi, piu’ e’ liquido il mercato dei titoli stessi, il che e’ un una buona cosa per gli investitori (e finiamola di chiamarli risparmiatori come si fa ancora in Italia: questa e’ tutta gente che non vuole risparmiare, vuole guadagnare).

Cio’ che ben pochi critici hanno messo in rilievo, tuttavia, e’ che le azioni erano fortemente sopravvalutate. Sfortunatamente, molti investitori preferiscono ignorare informazioni come questa. Le azioni offerte al mercato sono state prezzate a circa 33 volte gli utili, che, per una utility, e’ un valore estremamente alto. Un livello vicino a otto volte gli utili, avrebbe avuto piu’ senso. Il fatto e’ che l’Enel ha ben poche chance nel prevedibile futuro di riuscire rispettare le esagerate aspettative di profittabilita’ gia’ scontate nel prezzo di collocamento. Di qui il ribasso cosi’ veloce fin dall’inizio (e se non ci fosse una potente ciambella di salvataggio, il calo sarebbe anche maggiore).

Nonostante l’Enel sia una societa’ gestita ragionevolmente bene e in buone condizioni finanziarie, il fatturato sta per ridursi di circa 1 miliardo di euro per via di un taglio forzato alle tariffe elettriche deciso dalle autorita’.

Allo stesso tempo l’Enel sta pianificando di far salire il fatturato con una strategia ad alto rischio, di diversificazione. Sembra che l’azienda elettrica voglia imitare gruppi come Vivendi, la utility francese, che ha interessi nell’elettricita’, acqua, telefonia cellulare, e pay Tv. Questa strategia puo’ avere una ragione d’essere, ma puo’ anche andare a rotoli molto facilmente.

E’ notoriamente difficile infatti realizzare un processo di diversificazione in modo efficiente; e non c’e’ nessuna garanzia che Chicco Testa e Franco Tato’ coi loro manager faranno un buon lavoro in questo senso. Di certo, l’Enel non ha nessun ”track record”, cioe’ documentabile esperienza, nell’attivita’ che si sostanziano in una diversificazione.

Per cui, per concludere, cio’ che gli investitori hanno adesso con le Enel che si sono comprate, e’ un titolo sopravvalutato di un’azienda con una strategia ad alto rischio, i cui utili nel prossimo futuro potrebbero scendere piuttosto che salire. In altre parole, certamente non e’ da comprare. Semmai e’ da vendere.

RICHARD THOMSON e’ un giornalista finanziario inglese che vive a New York. Scrive per alcune delle maggiori testate europee.