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Questa sezione e’ tratta dal sito Dagospia di Roberto D’Agostino. Il contenuto esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Una Porta Pia alla rovescia. Il 20 settembre 1870, quando i piemontesi entrarono a Roma e chiusero con lo Stato pontificio l’aristocrazia papalina si chiuse nei suoi palazzi e sbarrò porte e finestre in segno di lutto.

All’alba del 13 giugno torna il Papa Re. Papa Ratzinger. Anzi, Papa Ruini, il grande vincitore della partita, il Padrone d’Italia, l’uomo che ora darà lecarte per il grande scontro del Duemilasei.

Sotto le macerie, Gianfranco Fini. Ha portato a votare la moglie Daniela, ma è l’unica che gli ha dato retta. Tutti gli altri elettori di An sono andati al mare. Già nelle prossime ore Gianfry potrebbe lasciare la guida di An, dopo essere stato sbeffeggiato perfino dai ragazzini di Azione giovani che si sono mandati un sms: “Abbiamo vinto contro Fini”. Circolano già i nomi dei successori: il ministro Gianni Alemanno o il sottosegretario Alfredo Mantovano, finiano deluso.

Sotto le macerie, Piero Fassino. Il segretario Ds si è speso con il consueto impegno, si è sbattuto in tutta
Italia. Sognava di capeggiare il fronte laico, o almeno il 40 per cento, ma perfino le regioni rosse hanno preferito disertare. Addio al sogno di diventare lo Zapatero italiano.

Massimo D’Alema è stato più prudente. Comizi ridotti al minimo, poche interviste, qualche dubbio sulla fecondazione eterologa. Ma non è sfuggita la battuta in cui il presidente Ds annunciava di essere intenzionato a disdire l’otto per mille per la Chiesa cattolica. Addio al Quirinale: impossibile scalare il Colle senza l’appoggio ecclesiastico.

Sotto le macerie, soprattutto, Romano Prodi. Ha perso su due fronti. I laici sono infuriati con lui perché non ha detto come votava. I cattolici perché è andato a votare. Addio palazzo Chigi?

Il grande vincitore è Francesco Rutelli. Voleva una grande vittoria a guida dell’armata bianca e l’ha ottenuta in asse con Ruini. L’anti-Zapatero prediletto dalle gerarchie vaticane.

Vincitore Pierferdinando Casini. La concorrenza di Fini non esiste più, per la successione di Berlusconi c’è solo lui.

Vincitore Berlusconi. Si è tappato la bocca per sei mesi, si è concesso una vittoria contro la sinistra che cancella il disastro delle elezioni regionali senza muovere un dito. La partita del 2006 è riaperta.

Vincitore Giuliano Ferrara. Il suo Foglio è alla terza vittoria consecutiva: rielezione di Bush, elezione di papa Ratzinger, frana referendaria. Manca solo la beatificazione.

A essere sbarrate come le finestre della sdegnosa aristocrazia nera oggi sono le prime pagine dei maggiori quotidiani italiani. Ancora ieri erano usciti a reti unificate per il Sì: Eugenio Scalfari su Repubblica, Enzo Biagi sul Corriere, Barbara Spinelli sulla Stampa. Oggi, brutto risveglio. Lo stesso che due settimane fa ha travolto i giornali francesi, tutti favorevoli al Sì alla Costituzione europea, tutti clamorosamente smentiti dai loro lettori.

Questa mattina, sulla prima pagina del Corriere, per la prima volta dopo mesi, sono tornati Massimo Franco e Giuseppe De Rita: il primo è il notista politico del cardinale Camillo Ruini, il secondo un cattolicone doc. I due si sono presi la rivincita, spiegando con cattolica perfidia perché l’Italia del Sì ha perso. I loro articoli di oggi sono un feroce attacco dall’interno alla linea editoriale del giornale diretto da Paolo Mieli.

Leggere Massimo Franco: “Il vero scacco del fronte referendario è stato immaginare un’Italia reale che esiste solo nella nostalgia degli anni Settanta e Ottanta. E’ inevitabile intercettare e comprendere questo Paese, per evitare le smentite brucianti della realtà”. Si riferisce, per caso, alle decine di ricostruzioni dedicate dal Corriere a Circeo, Primavalle e dintorni?

Ancora più crudo Giuseppe De Rita che scrive papale papale: “I mezzi di comunicazione e specialmente la carta stampata hanno fatto del referendum una loro battaglia, un loro punto d’onore. E per evitare che l’evento li smentisse, si sono trovati ad alzare i toni, a concedersi paginate illeggibili e non lette, a reiterare gli interventi (con collaboratori chiamati quattro volte a scrivere le stesse cose), a forzare i titoli, a essere più movimentisti che facitori d’opinione.” Un bel ritrattino della stampa in generale e del Corriere in particolare. Ma anche Espresso, Venerdì e perfino l’inserto Salute di Repubblica la scorsa settimana avevano stampato il loro bel Sì in copertina.

Alla prova delle urne di questo scontro di civiltà non fregava niente a nessuno. Giornali che non influenzano più i loro lettori. Giornali che non ascoltano più la realtà. Giornali che non spostano mezzo voto. Giornali che non sanno più fiutare l’aria, a naso tappato in un’Italia in cui evidentemente è successo qualcosa di grosso che nessuno sa raccontare. Una situazione che rende quasi patetiche le guerre di carta che si dichiarano sui pacchetti azionari di controllo.

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