Nonostante l’assenza di segnali convincenti, l’ottimismo per le prospettive dell’economia globale
continua a diffondersi, con significativi riflessi sui mercati finanziari. Come in un circolo vizioso, l’ascesa dei
listini azionari, che prosegue seppur a ritmi più blandi, rappresenta la “prova” più credibile della ripresa imminente,
mentre l’obbligazionario subisce sempre più spesso i contraccolpi di violente prese di profitto, giustificate dai livelli
record raggiunti e dai timori che stia per giungere, o sia addirittura già iniziata, la temuta inversione di un lungo
ciclo favorevole.
In tal caso, potremmo confrontarci con un brusco travaso di liquidità da un mercato all’altro,
capace di travolgere ogni appello alla cautela e alla ragionevolezza da entrambi i lati. Al momento uno scenario
improntato all’ottimismo sembrerebbe supportato più da ragioni umorali che non da elementi oggettivi; ieri però
una spinta in questa direzione è giunta da Greenspan, impegnato nella consueta Testimonianza semestrale su
economia e politica monetaria di fronte al Congresso americano.
Anche se la reazione di Wall Street non è stata
euforica, le parole del Presidente della FED hanno avuto pesanti contraccolpi sull’obbligazionario, soprattutto nel
caso delle scadenze più lunghe, al punto che la curva dei rendimenti per l’area del dollaro non è mai stata cos ì
ripida da oltre dieci anni a questa parte (e in Europa qualcosa di simile non si vedeva dal 1997). Greenspan ha
infatti lasciato intravedere stime di crescita molto aggressive per l’economia USA, già a partire dalla seconda metà
di quest’anno, per arrivare a un miracoloso +3,75/+4,75% nel 2004 (con un valore medio dunque del +4,25% per il
PIL che sembrerebbe far rivivere i tempi d’oro di fine anni ’90).
Al tempo stesso però ha ribadito la disponibilità
della FED a tagliare ancora i tassi qualora le circostanze lo rendessero necessario, nel caso cioè tutti i presupposti
di questa crescita prodigiosa non dovessero dare i frutti auspicati. A mettere in allarme gli investitori del reddito
fisso sono stati dunque da un lato questo scenario di crescita boom, pur accompagnato dalla previsione di una
crescita molto modesta dei prezzi, visti ancora fermi nell’area +1/1,5% quest’anno e +1,25/1,5% il prossimo
(parliamo del deflatore della spesa per consumi, l’aggregato più seguito dalla FED, che, escluse le voci alimentari
ed energia in maggio cresceva a ritmi dell’1,5% annuo), dall’altro il venir meno di quell’ipotesi di interventi “non
convenzionali” da parte della Banca Centrale – in pratica, acquisti di titoli a lunga scadenza direttamente sui
mercati in modo da influenzarne i rendimenti – che era stata discussa e ventilata fino al mese scorso.
Ieri
Greenspan ha detto che simili interventi non sono più ritenuti necessari, sebbene il timore di deflazione non sia del
tutto scongiurato, poiché i FED funds all’1% offrono ancora sufficiente spazio per effettuare eventuali manovre sui
tassi. Coniugato all’idea che comunque “la politica monetaria resterà molto accomodante per tutto il tempo
necessario per tornare ad una performance economica soddisfacente” e che il disavanzo federale è destinato a
crescere, questo messaggio ha provocato l’inevitabile caduta dei titoli a più lunga scadenza.
Ma siamo davvero alla svolta per l’economia USA e, di riflesso, per le fortune dell’obbligazionario? La
nostra impressione è che finora tutto questo ottimismo sull’andamento del secondo semestre sia più una
speranza, o un atto di fede, che qualcosa di fondato, visto l’andamento ancora zoppicante di molti
comparti dell’economia. Cosa peraltro riconosciuta ieri dallo stesso Greenspan, quando ha ammesso che “i dati
in arrivo su occupazione e produzione rimangono contrastati. Un diffuso senso di cautela, che riflette, in parte, i
postumi degli scandali aziendali, sembra aver lasciato le imprese a focalizzarsi sul rafforzamento dei loro bilanci, e,
finora, riluttanti a riavviare in maniera significativa assunzioni e investimenti”.
Tutto ciò è aggravato dalle
“incertezze globali e dalla debolezza dell’economia estera, in particolare tra alcuni dei maggiori partner
commerciali americani”. Eppure la FED è molto ottimista, quasi euforica, per le prospettive dei mesi a venire: per
ottenere infatti una crescita annua compresa tra il 2,5 ed il 2,75%, come appare dalle stime presentate ieri da
Greenspan, occorrerebbe infatti una crescita di almeno il 5% annualizzato nei due prossimi trimestri, ipotesi da non
escludere, ma decisamente aggressiva ed in ogni caso superiore al consenso degli economisti.
Teniamo presente che i primi due trimestri dell’anno stanno viaggiando su ritmi molto più blandi, il primo dell’1,4% annualizzato e il
secondo tra l’1,5 e il 2%. Anche sulla base dei dati più recenti, ad una ripresa più sostenuta dei consumi delle
famiglie si contrappone il perdurante stallo di produzione industriale, esportazioni e investimenti. Ieri, quasi a
supportare l’ottimismo di Greenspan, è giunto un segnale di riavvio dei consumi, dopo un paio di mesi stentati
anche a causa del concomitante conflitto iracheno: le vendite al dettaglio di giugno sono balzate dello 0,5% a
livello complessivo e dello 0,7% esclusa la componente auto, ben oltre le attese di consenso, mentre le prime
indicazioni relative alle maggiori catene di grandi magazzini confermano un andamento ancora sostenuto per il
mese in corso.
E in effetti incoraggiante è stata anche la lettura registrata dall’indice Empire State, relativamente al
comparto manifatturiero nell’area di New York; pur in calo da quella precedente, a quota 22.6 contro 27.6, si è
comunque mantenuto su buoni livelli, al di là delle attese. Oggi però dovremo fare i conti con un dato
presumibilmente ancora fiacco per la produzione industriale di giugno (atteso un altro anemico +0,1%, che replica
l’andamento di maggio), ed una capacità utilizzata ancora ferma su livelli insoddisfacenti (sotto il 75%).
Da segnalare che gran parte della Testimonianza di Greenspan è stata incentrata sul nesso tra gli attivi delle
famiglie, in particolare le proprietà immobiliari e gli investimenti azionari, e la tenuta dei consumi, dunque della
domanda aggregata. E’ noto che Greenspan è sempre stato convinto dell’estrema importanza di questo nesso,
che attraverso i rifinanziamenti dei mutui ipotecari, giunti a livello record negli ultimi diciotto mesi (1.600 mld di
dollari nel solo 2002), hanno contribuito a sostenere i consumi più di quanto abbia fatto la crescita del reddito
disponibile delle famiglie; il fatto che ora i rendimenti a lunga, e dunque anche il costo dei mutui, stiano
bruscamente risalendo, non sembra però allarmarlo, nonostante si rischi una drastica frenata di questo impulso
determinante nei mesi a venire.
I segnali tecnici che giungono dall’obbligazionario non sono confortanti, al
contrario di quelli che sembrano invece emergere dall’azionario, all’apparenza così robusto da non riuscire finora
nemmeno a compiere una vera e propria correzione dopo i forti rialzi dell’ultimo trimestre. Per Greenspan e gli
ottimisti questo è un altro segnale della ripresa incipiente, per gli scettici è solo una conferma della grande carica di
fiducia, mal riposta, in speranze di ripresa tutte ancora da confermare. A nostro avviso il dilemma è ancora da
sciogliere, ma nel breve l’ottimismo, in larga misura collegato all’effetto liquidità, e le incertezze dell’obbligazionario
potrebbero ancora premiare le Borse, ben al di là di quanto i fondamentali giustificherebbero.
Se le rosee attese di
crescita al 5% nella seconda metà dell’anno non dovessero realizzarsi, anche i de profundis per l’obbligazionario
apparirebbero però quanto mai azzardati e prematuri. Nel breve, dunque, Borse ancora ben impostate, pur
soggette alla volatilità derivante dalla campagna risultati societari entrata nel vivo negli USA; ma i dubbi di fondo
sulla sostenibilità di anche questo recupero rimangono.
*Michele Pezzinga e’ capo strategist di Eptasim