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ECONOMIA USA: L’IMPATTO SUI SETTORI

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Ancora una settimana nera sui mercati azionari internazionali, ormai sprofondati in una crisi dalla quale non si intravede una via d’uscita.

Appena un anno fa le principali Borse mondiali brindavano a nuovi massimi storici, trascinate dall’euforia per la new economy e dalla convinzione che la tendenza sarebbe proseguita quasi indefinitamente, sostenuta dalla buona congiuntura del ciclo mondiale e dai miracoli della tecnologia, che invitavano a rivedere i concetti con cui tradizionalmente si valutava l’economia.

Si è trattato della celebrazione di un mesto anniversario, dunque, e il clima, al di qua ed al di là dell’Atlantico è stato tutt’altro che festoso: il Nasdaq, dopo un inizio di ottava incoraggiante, con tre sedute positive consecutive, come non si vedevano da tempo, giovedì è ripiombato nel pessimismo che lo ha caratterizzato durante il mese di febbraio, durante il quale l’indice dei titoli tecnologici ha perso poco meno del 25%.

Continua lo “sgonfiamento della bolla” iniziato un anno fa, e la rottura del supporto a 2000 apre la strada, dal punto di vista tecnico, ad uno scenario, se possibile, ancora più negativo.

Interrogarsi sulle cause di questa vera e propria debacle del mercato azionario sembra ora essere un esercizio inutile e accademico: molto si è scritto a proposito della sopravalutazione di alcuni settori, e degli effetti del rallentamento del ciclo mondiale sulle Borse. Più urgente, invece, è cercare di capire se, quando, e in quali settori si potrà assistere ad una ripresa dei listini.

A questo proposito può venire in aiuto la macroeconomia, che sottende e anticipa, solitamente, le dinamiche microeconomiche del sistema: l’analisi degli indicatori USA fornisce, a parere di chi scrive, alcuni spunti interessanti.

Innanzi tutto occorre distinguere fra gli indicatori “leading” (che anticipano cioè il ciclo economico) e “coincident” (che fotografano l’andamento dell’economia ad una certa data). I primi hanno sicuramente maggiore capacità previsiva dei secondi, che riflettono, invece, una situazione di fatto.

Mentre nelle ultime settimane i “coincident” hanno continuato a deteriorarsi, dai “leading” emergono, a ben vedere, i primi timidi segnali di una ripresa.

Un esempio per tutti: la statistica rilasciata venerdì scorso relativa al mercato del lavoro (indicatore coincident) ha evidenziato ancora un aumento dei disoccupati nel settore manifatturiero (che rappresenta la componente più stabile e ciclica dell’occupazione), cresciuti di 94000 unità.

Tuttavia gli indicatori anticipatori relativi allo stesso settore sono decisamente più incoraggianti: l’NAPM (che rileva la fiducia dei direttori degli acquisti negli USA) ha infatti messo a segno un rimbalzo dai minimi di gennaio, passando da 41.2 a 41.9 dopo essere anche scivolato ai livelli del 1991, quando l’economia USA entrò in recessione.

Tutte le sue principali componenti, in particolare quelle relative ai nuovi ordini, sembrano denotare un lieve recupero.

Indicazioni nella stessa direzione sono venute anche dal Chicago PMI (un indicatore analogo all’NAPM, ma relativo ad una specifica area geografica), in ripresa da 40.2 di gennaio a 43.2 di febbraio.

E gli analisti più attenti, poi, fanno notare il recupero del prezzo del legname, utilizzato come indicatore per il comparto delle costruzioni, a sua volta “leading” degli altri settori dell’economia; ed un rallentamento nella velocità di deprezzamento del dollaro australiano contro dollaro USA, che rappresenta un’approssimazione dell’andamento dell’attività industriale a livello mondiale, visto che dipende dall’andamento delle materie prime che entrano nella prima fase del ciclo produttivo.

Si può dire, quindi, che l’economia americana sia avviata verso un punto di svolta e che sia pronta per un recupero nella seconda parte dell’anno?
Molti elementi sembrano ancora consigliare prudenza, prima fra tutti la fiducia dei consumatori USA, che pur mantenendosi su livelli storicamente elevati continua a scendere, anche per effetto delle prolungate correzioni del mercato azionario. Ma, rispetto ad un mese fa, si intravedono i primi segnali di un miglioramento della situazione.

L’abbondante liquidità nel sistema è un elemento potenzialmente favorevole: la crescita della massa monetaria, grazie alla politica espansiva della Fed, può fornire alle imprese una boccata d’ossigeno, e ai consumatori lo strumento per ridurre il forte indebitamento contratto nell’ultimo biennio (il risparmio del consumatore USA è negativo). La Banca Centrale americana ha lasciato intendere, anche con l’ultimo report mensile, che ci sono spazi per ulteriori riduzioni del costo del denaro nei prossimi mesi. Il 20 marzo ci sarà già il primo passo in questa direzione, con la Fed vista tagliare di 50 punti base i Fed Funds.

Vale la pena, quindi, cercare di capire quali possono essere, dato un simile scenario, le implicazioni per il mercato azionario USA.

Notevole rilevanza assume, a questo proposito, l’analisi settoriale. Spesso è fuorviante, infatti, guardare all’andamento di un indice nel suo complesso: mentre, ad esempio, nello S&P500 nel 2000 si consuma il collasso del settore TMT, altri, ( tabacco, finanza, farmaceutico, energetico) mettono a segno performance di tutto rispetto (+84%, +89%, +85%, +66%).

Occorre pertanto distinguere i comparti che sono sensibili alle variabili finanziarie (tassi d’interesse) da quelli che sono influenzati dall’economia reale e dal ciclo economico: per ognuno di essi l’ipotetico scenario di ripresa della locomotiva americana può avere effetti differenti.

· ASSICURATIVI: impatto negativo. I titoli assicurativi traggono beneficio dalla fase di discesa dei rendimenti a lungo termine che è tipico dei momenti in cui l’economia si trova in difficoltà (secondo semestre 2000 e primo trimestre 2001). Quando si manifestano i primi segnali di ripresa del ciclo, i tassi a lungo termine iniziano a salire, riducendo il valore degli asset detenuti in portafoglio dalle compagnie assicurative con effetti negativi sui corsi dei titoli quotati.

· BANCARI: neutrale. L’impatto su questa categoria di titoli non è univoco: da un lato essi beneficiano di un miglioramento della qualità dei crediti, grazie ad una maggiore solidità delle imprese, dall’altro, però, vi è un effetto negativo, simile a quello che si registra sugli assicurativi, a causa della riduzione del valore dei portafogli di proprietà. Positivo è invece l’effetto sui “gestori di patrimonio”: la ripresa dei mercati fa aumentare il valore delle attività detenute e l’appeal stesso del risparmio gestito.

· FARMACEUTICI: negativi. Sono generalmente considerati difensivi, poiché la loro domanda non dipende dal ciclo economico, e salgono nelle fasi di debolezza del mercato. E’ possibile che, alla luce della maggiore tenuta di questi mesi, in caso di ripresa, vengano penalizzati a favore dei settori “meno cari”. Lo scenario è più favorevole, invece, per le biotecnologie, che rappresentano la parte “tech” del settore.

· ENERGETICI: neutrale. Da un lato, infatti, la ripresa dell’attività produttiva determina una maggiore domanda per questi beni, ma il prezzo già elevato raggiunto dal gas naturale e dal petrolio, due elementi fondamentali che influenzano le performance del settore, limita la possibilità di grossi exploit.

· ALIMENTARE: negativo. Come per i farmaceutici la domanda di questi beni non dipende dal ciclo economico, e le valutazioni degli ultimi mesi sono su livelli storicamente elevati.

· CICLICI: molto positivo. Sono considerate cicliche tutte quelle società la cui produzione dipende dalla ripresa dell’attività produttiva (in questa categoria generica si possono far rientrare ad esempio le aziende connesse all’estrazione di materie prime, diverse dal petrolio, come il legname; i produttori di semilavorati; di macchinari per l’industria; ed il settore edilizio).

· TELEFONICI: negativo. Più che dal ciclo dipendono dallo sviluppo di nuove tecnologie e servizi (GPRS; UMTS). In questo momento lo scenario risulta essere assai complesso, con una tendenza degli elementi negativi a prevalere. In particolare, la riduzione delle tariffe e l’incertezza nei tempi e nei costi delle tecnologie sopra citate suggeriscono ancora molta cautela su questi titoli.

· MEDIA: neutrale-negativo nel breve periodo. La ripresa delle spese per pubblicità, da cui dipende in larga misura la performance di questi titoli, è solitamente successiva ad una ripresa del settore produttivo. Pertanto, nel breve termine, gli spazi di recupero dei loro corsi sono contenuti.

· TECNOLOGIA: negativo. Le numerose sfaccettature che caratterizzano in questo settore ne rendono particolarmente complessa un’analisi unitaria.

Tuttavia vi sono dei comparti che più di altri sono sensibili alla ripresa del ciclo, in particolare quelli che si collocano all’inizio della catena produttiva. Sicuramente sono favorite le società produttrici di PC e di semiconduttori, e, in particolare, quelle con meno coinvolgimento nel networking e nelle infrastrutture per le telecomunicazioni, che rappresentano al momento il comparto più problematico e delicato dei mercati azionari.

Nello specifico, un indicatore importante è rappresentato dall’indice SOX (Philadelphia semiconductor index), con le sedici maggiori società operanti nella produzione e distribuzione di semiconduttori: va monitorata con attenzione area 550-540. La tenuta di questo supporto, già testato a fine febbraio, aprirebbe gli spazi per un recupero dell’indice fino a 750, con una capacità di apprezzamento nel breve termine di oltre il 30%.

*Questo intervento e’ stato scritto da un’analista finanziaria italiana che ha chiesto l’anonimita’, ma che gode per ora della fiducia di Wall Street Italia.