Nuovi segnali dall’economia USA, stavolta di segno opposto rispetto a quelli emersi martedì scorso
con il crollo a sorpresa della fiducia dei consumatori. Per quanto si riferisca ad un 2° trimestre ormai alle
nostre spalle, il PIL è stato stimato in crescita di ben il 2,4%, a fronte di attese mediamente posizionate attorno ad
un +1,5% e di un +1.4% nel 1° trimestre.
A trainarlo è stata la ripresa dei consumi delle famiglie (+3,3%), in netta
accelerazione dall’anemico +1% precedente e dal 1,7% del 4° trimestre 2002, ma determinante è stato l’impatto
straordinario delle spese militari, legate all’operazione Iraq, che ha contribuito per ben l’1,7% a quel +2,4% di
crescita complessiva. Bisogna comunque riconoscere che nel trimestre si è registrato anche un improvviso
decumulo di scorte (-17,9 mld di dollari, da un +4,8 mld nel trimestre precedente, peraltro in calo dai quasi 26 mld
ricostituiti nel 4° trimestre 2002); tant’è che la domanda finale, che non tiene conto appunto dell’effetto scorte, è
stata indicata in crescita di ben il 3,2% nel trimestre.
In altri termini, il contributo anomalo delle spese militari,
destinato a venir meno nei successivi trimestri (salvo imbarcarsi in altre avventure contro l’asse del male…), dovrebbe
essere compensato dalla graduale ricostituzione dei magazzini. Forse questi numeri preliminari verranno in seguito
corretti al ribasso, sotto quota +2% per quanto riguarda la crescita complessiva; ma non al punto da mettere in
discussione, tra gli aspetti positivi, il risveglio degli investimenti fissi, un +6,9% nel trimestre con una punta del
7,5% nel comparto delle attrezzature e del software che sembrerebbe fornire, anche a livello macro, almeno
qualche giustificazione al boom borsistico registrato dai tecnologici negli ultimi mesi.
Altro segnale positivo è giunto dalle richieste di sussidio, scese anche questa settimana sotto la soglia
delle 400mila unità (388mila, contro le 391mila della precedente); gli scettici temono comunque ancora un
temporaneo “effetto luglio”, spesso capace di provocare sorprese a causa delle chiusure estive di molte attività
industriali, dunque suggeriscono di attendere ulteriori conferme dai dati a venire. A questo proposito oggi avremo
un’indicazione molto significativa anche dai nuovi occupati di luglio, che dovrebbero finalmente tornare almeno in
pareggio dopo quattro mesi consecutivi di calo.
Si è comportato bene anche l’indice dei direttori degli acquisti
dell’area di Chicago, salito a quota 55,9 da 52,5 in giugno, grazie al contributo determinante di produzione (58,4) e
nuovi ordini (61,7), mentre occupazione (46) e scorte (39,4) ancora ristagnano su livelli insoddisfacenti. Un
indicatore analogo rilevato nell’area di New York è però apparso in netto calo, dunque oggi spetterà all’indice su
base nazionale dirimere i dubbi emersi da queste due letture contrastanti.
In ogni caso, ieri la comunità finanziaria
sembrava convinta che la ripresa, almeno negli USA, si stesse facendo strada; e se gli effetti non sono stati così
chiari per Wall Street, prima balzata fino a segnare un rialzo di oltre l’1,5%, poi afflosciatasi fino al modesto
+0,29% registrato in chiusura, la bocciatura è stata netta ed unanime per l’obbligazionario, con il trentennale in
caduta libera (oltre 2 punti secchi, fino a sfiorare il 5,40% di rendimento), seguito a ruota dal decennale (giù di un
punto e un quarto, con rendimenti risaliti al 4,47%).
Eppure il deflatore del PIL è stato indicato in frenata dal +2,4%
del 1° trimestre ad un +1%, mentre l’indice della spesa per consumi (PCE) è passato dal precedente +2,7% ad un
+0,9%, quasi a confermare i timori della FED circa una decelerazione fin troppo accentuata nella crescita dei
prezzi (proprio la soglia dell’1% era stata recentemente indicata da Bernanke quale riferimento per una politica
monetaria ancora molto espansiva). Le mode e la componente psicologica hanno sempre avuto un ruolo
determinante per l’andamento dei mercati; ed ora a farne le spese sembrerebbe decisamente l’obbligazionario.
Michele Pezzinga e’ capo strategist di Eptasim