Società

ECONOMIA USA:
FRENA
O NON FRENA?

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*Antonio Cesarano e’ il Responsabile Desk Market Research di MPS Finance. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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Il pil del primo trimestre Usa ha registrato una variazione trimestrale annualizzata del 3,1% da 3,8%, il valore più basso degli ultimi 2 anni.
Dopo il deludente dato su ordinativi e consegna del mese di marzo pubblicato ieri, le effettive aspettative mediane degli operatori erano probabilmente collocate al di sotto del 3,5%. Di conseguenza, l’impatto sui mercati è stato piuttosto blando dopo le prime emotive oscillazioni immediatamente dopo la pubblicazione del dato.

Con riferimento alla scomposizione del dato facciamo riferimento alla tabella in fondo alla pagina contenente le contribuzioni al Pil delle principali sottocategorie:

– il personal consumption ha evidenziato un lieve calo della contribuzione positiva soprattutto in seguito alla perdurante fase di debolezza delle vendite di auto;

– la spesa per investimenti ha registrato un sensibile ridimensionamento della contribuzione positiva della componente investimenti fissi in cui sono ricompresi tra gli altri gli investimenti in apparecchiature e software;

– le esportazioni nette hanno continuato a contribuire negativamente per oltre 1% in seguito al continuo allargamento del deficit commerciale che a febbraio ha raggiunto il massimo storico;

– forte incremento della contribuzione positiva della variazione delle scorte;

– con riferimento agli indici inerenti i prezzi, il deflatore core del personal consumption (indice di riferimento utilizzato dalla Fed) ha registrato un incremento passando dall’1,7 al 2,2%.

Emerge pertanto l’impatto negativo sul Pil derivante dalla fine degli incentivi agli investimenti che nel trimestre ha determinato un ridimensionamento del capital spending. Inoltre continua a pesare nel computo del pil l’elevato deficit commerciale.
La spesa personale complessivamente ha mantenuto un buon tasso di crescita con l’eccezione del comparto auto dove probabilmente ha pesato anche il venire meno degli incentivi nella forma di finanziamenti a tassi zero, non più possibili dopo il rialzo dei tassi intrapreso dalla Fed dallo scorso mese di giugno.

Con riferimento all’andamento dei prezzi, l’incremento registrato dal Pce core deflator su base trimestrale è compatibile con una stima del tendenziale mensile dell’1,7% atteso in pubblicazione domani. Tale valore si collocherebbe ancora all’interno del range stimato per il 2005 ed il 2006 dalla Fed (1,5-1,75%).

Di conseguenza, pur emergendo pressioni sui prezzi, l’attenzione potrebbe essere maggiormente rivolta al timore di un’estensione della fase di rallentamento anche al secondo trimestre. Il dato sul mercato del lavoro atteso il prossimo 6 maggio assume pertanto un’elevata importanza per rispondere a tale interrogativo.

Nel frattempo la Fed nel corso del prossimo meeting del 3 maggio dovrebbe continuare a mantenere in vita l’approccio graduale (rialzo di 25bps), permanendo sempre all’interno del comunicato successivo il riferimento all’approccio measured pur in un contesto di maggiori spinte inflative rilevate anche dal recente Beige Book.

Per quanto concerne i futuri sviluppi di politica monetaria, riteniamo possibile un’estensione della fase di rallentamento al secondo trimestre, ipotizzando un andamento ancora non molto forte della dinamica occupazione di riflesso con la perdurante prudenza dal alto produttori in termini di decisioni inerenti l’incremento degli organici, in parte determinate dalla necessità di bilanciare l’incremento dei costi delle materie prime con un più attento controllo del costo del lavoro.
Di conseguenza continuiamo a ritenere possibile l’arresto della fase di rialzo dei tassi da parte della Fed nel secondo semestre dell’anno.

Con riferimento infine all’andamento dei tassi di mercato, evidenziamo come nel mese di maggio vi potrebbero essere diversi elementi tali da lasciar propendere gli investitori maggiormente verso i titoli governativi Usa anziché quelli Euro. La debolezza della crescita europea ormai è diventata una “non notizia” per gli operatori mentre invece molto più discusso è lo scenario per gli Usa. Laddove fosse corretta l’ipotesi di continuazione del rallentamento dell’economia anche nel secondo trimestre, i titoli Usa riceverebbero un supporto ulteriore.

Inoltre il referendum del 29 maggio in Francia sulla carta costituzionale potrebbe lasciar propendere gli investitori verso una più prudenziale sovraesposizione sui Treasuries dove gli spread di rendimento sono divenuti molto appetibili anche su scadenza brevi (entro i 3 anni) caratterizzate per definizione anche da un più contenuto profilo di rischio.