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ECONOMIA MONDIALE: C’E’ POCO DA ESSERE OTTIMISTI

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*Bill Emmott e’ l’ex direttore di The Economist. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – A questo punto della recessione globale, è il caso di essere più pessimisti o più ottimisti? È una domanda a dir poco sorprendente, se pensiamo che da poco più di sei mesi siamo precipitati nel baratro economico, seguito al crollo di Lehman Brothers a New York lo scorso settembre.

Certo, il pessimismo sembra la reazione più indicata: l’Ocse, l’organizzazione basata a Parigi che raccoglie 30 Paesi tra i più ricchi del mondo, in Europa e in America, annuncerà ai suoi membri, il 31 marzo, una previsione assai più negativa per il 2009, una contrazione del Pil pari al 4,2%. Eppure, malgrado tutto, di colpo si avverte nell’aria una ventata di ottimismo. Questa settimana, i mercati azionari in tutto il mondo hanno rialzato la testa; ed è in risalita anche il prezzo del petrolio e delle materie prime. Nel frattempo, i politici sulle due sponde dell’Atlantico, sotto la guida del presidente Barack Obama, sembrano rasserenati, e spiegano che già intravedono i primi segnali di stabilizzazione per le loro economie.

Da parte mia, consiglio un briciolo di prudenza e di lasciar passare ancora del tempo prima di emettere giudizi. Ci sono stati motivi di ottimismo nelle ultime settimane, è vero. In sostanza, però, le migliori avvisaglie si suddividono in tre categorie, nessuna delle quali definitiva né affidabile.
La prima categoria riguarda i dati che suggeriscono un rallentamento in atto nel declino economico: in diversi Paesi, il mese scorso, i consumi sono risultati superiori al previsto; le vendite immobiliari in America sono in ripresa, anche se i prezzi scendono ancora. Se questi brandelli di dati dovessero trasformarsi in tendenza, sarebbe una buona notizia.

Il paragone migliore è quello di un uomo in caduta libera: è importante sapere, a un dato momento, quanto dista il suolo. Ma anche se è più vicino di quanto si sospetti, lo schianto sarà inevitabile. E una volta a terra, potrebbe anche non essere così facile rimettersi in piedi.

Un altro modo di esprimere il medesimo concetto è constatare come, da ottobre fino a gennaio-febbraio, il calo della domanda nei Paesi europei, in Giappone e negli Stati Uniti, sia stato spaventosamente rapido. Se quel calo oggi rallenta, sarà un buon segnale rispetto a uno scivolone costante o addirittura accelerato. Un calo più lento, tuttavia, è sempre un calo: potrebbe darsi che in questa recessione deflazionistica, che ha visto il crollo della fiducia dei consumatori e delle imprese, saremo colpiti da un lungo e lento declino della domanda, man mano che la disoccupazione aumenta e i redditi si riducono. O che il declino si fermi, ma la ripresa tardi anche anni interi prima di riprendere forza.

La seconda categoria di motivazioni ottimistiche è rappresentata dal movimento dei mercati finanziari. Notoriamente, i mercati azionari tendono ad aumentare di valore in previsione delle svolte nell’ economia reale. Questa settimana sono risaliti per la speranza che l’America abbia infine scovato la soluzione alla sua crisi bancaria, e che i dati economici vadano stabilizzandosi.

I prezzi del petrolio e delle materie prime hanno fatto un balzo in avanti forse in vista dei primi effetti, sulla domanda cinese per le materie prime, dell’ingente pacchetto di stimoli economici varato dalla Cina a novembre. Il problema è che anche i mercati possono sbagliarsi. I loro giudizi errati negli ultimi 4-5 anni hanno provocato questo caos economico su scala globale. Pertanto è meglio non fare troppo affidamento su questa fiammata di ottimismo dei mercati.

La terza categoria di notizie incoraggianti è poco nota al pubblico e consiste in tutte le sventure che non si sono verificate negli ultimi mesi. Banche e compagnie di assicurazioni non sono fallite, né sono crollate le industrie. Dopo due mesi di scossoni, come quelli di settembre e ottobre dello scorso anno, le notizie finanziarie si sono tranquillizzate. Questo è da attribuire in parte ai piani di salvataggio siglati dai governi, specie per le banche, ma suggerisce anche che le imprese sono più resistenti e flessibili di quanto si pensasse. La situazione, peraltro, potrebbe mutare dalla sera alla mattina.

La psicologia di questa recessione è difficile da giudicare, soprattutto per i politici e i ministri del governo. È una recessione che subisce la spinta dello stato d’animo, del timore di famiglie e aziende per i rischi di disoccupazione e bancarotta, che li ha convinti a tagliare le spese, e questo a sua volta ha fatto crollare la domanda. La paura e il suo opposto, la fiducia, sono emozioni fragili. I politici devono sforzarsi di rassicurare, per arginare le ansie della gente. Ma se fanno sfoggio, troppo presto, di eccessivo ottimismo, e questo ottimismo non è suffragato dai fatti, ecco che rischiano di mandare in fumo la loro credibilità. Cautela, pazienza e un linguaggio solo moderatamente positivo: a questo punto, non esiste ricetta migliore.

Traduzione di Rita Baldassarre

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